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Attualità e Politica

25/07/2017 | 15:08

Giochi, Celotto (giurista): «I tribunali non risolveranno i problemi del settore. Serve una normativa nazionale»

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Incontro con il professore di diritto costituzionale, tra i maggiori esperti delle dinamiche relative ai giochi pubblici: «L'azione disordinata degli enti locali crea confusione e ricorsi. La sentenza della Corte Costituzionale sul distanziometro? Dice meno di quanto si pensi. Quanto alla riduzione degli apparecchi, bisogna evitare che dal gioco legale si passi a quello illegale»

ROMA - Dal 2001 è professore ordinario di diritto costituzionale nell'Università Roma Tre, ma in questi anni ha fatto e fa molte altre cose di altissimo profilo: capo dell'ufficio legislativo e capo di Gabinetto per alcuni ministeri, consigliere giuridico dei ministri Tremonti e Gozi, autore di romanzi. E poi lo sport: componente del Collegio di garanzia del Coni e (dal 2007 al 2013) membro della Corte di Giustizia Federale della Figc. 

In tutto questo, il professor Alfonso Celotto, cinquantun anni, trova il tempo di occuparsi di giochi, seguendo alcune cause che interessano il settore e collaborando con la Federazione Italiana Tabaccai in qualità di direttore scientifico dei corsi di formazione per gli esercenti. Approfittiamo della sua competenza per fare un punto su un mondo in fibrillazione ormai costante, tra riforme vagheggiate e mai concluse, regolamenti locali in bilico e ricorsi a pioggia.

Professore, cominciamo dal vertice: il piano di riordino governativo segna ancora il passo, dopo quasi due anni di discussioni. Come giudica l'azione dell'Esecutivo?

«In generale, mi sembra che un'azione piuttosto scoordinata. Si prendono iniziative che poi non si portano fino in fondo, a partire dal decreto Balduzzi (che già cinque anni fa prevedeva forme di progressiva ricollocazione dei punti di raccolta del gioco, ndr). Anche gli enti locali si muovono in maniera disordinata, ognuno con i suoi orari e le sue distanze. Naturalmente, in una situazione come questa si crea confusione dal punto di vista delle norme e della loro applicazione. E allora via con ricorsi e ordinanze. Una dinamica che non fa bene a nessuno».

A proposito di ricorsi: i tribunali amministrativi hanno avuto numerose occasioni di esprimersi negli ultimi mesi, ora promuovendo , ora bocciando le ordinanze e i regolamenti degli enti locali. A un occhio profano, le motivazioni sembrano talvolta contraddirsi l'una con l'altra. Non pensa vi sia una mancanza di uniformità di giudizio?

«Diciamo che si va un po' a folate. C'è stato un periodo in cui la questione era se i sindaci potessero utilizzare, per limitare gli orari dei punti di gioco, l'articolo 50 comma 7 del testo unico degli enti locali. Questo articolo dà al primo cittadino la facoltà di organizzare gli orari degli esercizi commerciali. Insomma, si trattava di capire se quelli delle sale giochi fossero da considerare orari commerciali o se vi fosse in ballo anche un interesse pubblico. Al riguardo, la giurisprudenza era un po' oscillante: di sicuro, si diceva, i sindaci non possono ridurre l'orario per mezzo di ordinanze contingibili e urgenti, vale a dire dettate da esigenze di particolare gravità. Poi la giurisprudenza si è aperta o ora è comunemente accettato che un sindaco utilizzi l'articolo 50 per ridurre gli orari di apertura».

Alcuni regolamenti sono stati di recente delegittimati dal Tar per carenze di documentazione scientifica.

«Si chiamano problemi di istruttoria, alcuni li ho seguiti personalmente. Nella casistica rientrano Veneto, Emilia-Romagna, Brescia, Firenze. Molti regolamenti, in effetti, vengono varati senza un’istruttoria scientifica che dimostri come la riduzione dell’orario di apertura delle sale dia un reale beneficio contro la ludopatia. Sul tema mi sembra che la tendenza attuale dei tribunali sia quella di accogliere i ricorsi e stoppare i gli enti locali, anche se è sempre difficile, in una materia così complessa, desumere un orientamento univoco». 

Governo, Regioni, Comuni: chi deve occuparsi dei giochi?

«All’inizio degli anni Duemila si sosteneva che il gioco  fosse una questione di ordine pubblico, e che la competenza fosse solo dello Stato. Poi questa tesi si è modificata e oggi si ritiene che il gioco abbia a che fare non solo con l’ordine pubblico ma anche con la tutela della salute e della concorrenza, che rientrano nella sfera d’azione degli enti locali».

I quali, però, secondo quanto si diceva prima, non sempre hanno preso provvedimenti inattaccabili. 

«Esatto: non basta dire che non puoi giocare a 300 o 500 metri da una serie di luoghi, o che non puoi giocare in determinati orari. Non bastano vaghi accenni alla ludopatia, servono motivazioni congrue, ben motivate, con istruttorie puntuali. Altrimenti poi i Tar intervengono. Ma non sono i tribunali che possono risolvere il problema, e qui andiamo al punto: è necessaria una normativa univoca e chiara a livello statale. Deve essere lo Stato a decidere in materia di orari, distanze e luoghi sensibili».

Il Governo però una decisione l’ha presa: la riduzione delle slot, inserita nell’ultima manovra economica. Sulla stessa linea, l’abolizione degli apparecchi da bar e tabacchi in tre anni, prevista dal piano di riordino dell’Esecutivo. Misure giuste?

«Dobbiamo ricordare che lo Stato introdusse gli apparecchi leciti per contrastare il gioco illecito. Allora io dico: si vuole eliminare del tutto il gioco? Benissimo. Ma devi essere sicuro che dal gioco legale non si passi a quello illegale. Se lo Stato non riesce a eliminare l’illegalità, io come cittadino preferisco un gioco lecito, controllato e garantito».

Intanto, il piano governativo di riordino dei giochi continua a non piacere a Comuni e Regioni, i quali di recente hanno esultato per una sentenza della Corte Costituzionale su una questione sollevata dal Tar Puglia: in sostanza, la sentenza afferma che i distanziometri locali non scavalcano le norme statali e sono dunque legittimi. 

«Conosco quella sentenza, ma dice meno di ciò che affermano tanti enti locali. E poi teniamo presente che la Corte si è espressa sulla competenza delle Regioni e non su quella dei Comuni, che rappresenta il vero problema. Con ottomila Comuni che fanno quello che vogliono il sistema impazzisce».

Uno dei Comuni più importanti d’Italia, quello di Firenze, sta preparando un altro regolamento dopo la bocciatura del Tar. Tra i nuovi provvedimenti, anche il divieto di accedere a siti di gioco dal WiFi comunale. Una decisione inattaccabile dal punto di vista giuridico?

«È una questione da valutare, aspettiamo di vedere come la scrivono nel regolamento. C’è in ballo una questione di accesso alla rete, sono cose delicate». 

Fra i corsi che lei dirige per la Federazione Italiana Tabaccai, l’ultimo ha un titolo eloquente: “Distinguere il gioco ludico da quello patologico”. Che riscontro hanno avuto questi corsi da parte degli esercenti?

«Ottimo. C’è grande interesse verso il problema della ludopatia, sul quale, a dire il vero, c’è anche un po’ di mitologia. Tra l’altro, per rendere più semplice la fruizione abbiamo anche preparato dei corsi on line. L’iniziativa di Fit e Sts è molto importante, chi gestisce un locale dove si gioca deve essere informato, deve sapere come comportasi se un cliente entra alle nove del mattino e dopo dieci ore è ancora lì a giocare. È una questione di consapevolezza, e gli esercenti si sono davvero mostrati molto ricettivi». 
MF/Agipro

 

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