Attualità e Politica
11/08/2025 | 13:20
11/08/2025 | 13:20
ROMA - Chi gestiste una ricevitoria è - agli effetti della legge penale - incaricato di servizio pubblico “perché svolge una attività amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico, priva dei poteri propri della pubblica funzione”. E’ quanto ribadito dalla Corte di Cassazione che, con una sentenza del 5 agosto, conferma la condanna per peculato - disposta dalla Corte d’appello di Salerno - nei confronti del gestore di una ricevitoria del Lotto accusato di essersi appropriato di oltre 80mila euro tra il 22 e il 28 giugno 2016 e mai versati all’Amministrazione dei Monopoli di Stato.
Come si legge nella sentenza della Suprema Corte - che respinge nella quasi totalità il ricorso presentato dal gestore contro la decisione della Corte d’Appello di Salerno - “La gestione di una ricevitoria del Lotto è oggetto di una concessione pubblica e la sua regolamentazione è minuziosamente regolamentata da una normativa pubblicistica che regola le modalità del gioco, il calcolo delle vincite, le modalità di riscossione delle giocate e di pagamento delle vincite”. Pertanto, le motivazioni presentate dal gestore, volte ad escludere la qualifica di incaricato di pubblico servizio, non sono state accolte in quanto l’attività risulta disciplinata da una normativa pubblicistica e rientra nelle funzioni previste dall’articolo 358 del Codice penale. A conferma del reato di peculato, i giudici della Corte di Cassazione hanno ritenuto che l’uomo - gestore dell’attività per conto della madre, concessionaria della ricevitoria - avesse piena disponibilità delle somme (elemento che rappresenta la prova dell’illecito penale), escludendo anche la possibilità di derubricare il fatto in una pena meno grave, convertendo il reato in “appropriazione indebita” o “tentativo di peculato”. “Il ricorrente, infatti, non ha versato la somma riscossa anche dopo essere stato formalmente invitato a farlo dalla pubblica amministrazione che, a causa del mancato versamento, ha, dapprima, sospeso la concessione e, poi, l'ha revocata”.
La Suprema Corte conferma anche la confisca del profitto del reato, pari a 80mila euro, ritenendola obbligatoria e proporzionata. Accolta invece la richiesta relativa alla domanda di sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità. Come precisa la Corte di Cassazione, l’istanza era stata stata presentata il 30 maggio 2024, ovvero entro il termine di quindici giorni prima dell'udienza di appello. La Corte d’appello aveva respinto la richiesta ritenendola - erroneamente - tardiva, per questo motivo i giudici della Corte Suprema hanno stabilito che il “procedimento torni in sede di merito per la valutazione di tale richiesta”. Di conseguenza, la Cassazione annulla parzialmente la sentenza, limitamente al rigetto del lavoro di pubblica utilità che dovrà essere rivalutata dalla Corte d’appello, ma conferma in toto il reato di peculato.
FRP/Agipro
Foto credits Sergio D’Afflitto/Wikimedia Commons/CC BY-SA 3.0 I
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