Attualità e Politica
29/07/2020 | 11:03
29/07/2020 | 11:03
ROMA - La relazione della Dia, l’antiriciclaggio ai tempi del lockdown, i rischi nascosti nei siti online piazzati in paesi esteri poco (e male) regolamentati. Ranieri Razzante, Direttore del Centro di Ricerca sulla Sicurezza e il Terrorismo (Crst) e Docente di Legislazione antiriciclaggio nell’Università di Bologna, spiega ad Agipronews la strategia per combattere le infiltrazioni nel settore e propone un’Autorità UE contro il gioco illegale e la modifica delle modalità di rilascio della licenza di pubblica sicurezza.
Razzante, che giudizio dà dello scenario disegnato dalla Direzione Investigativa Antimafia, nel suo più recente report sul gaming?
La Dia traccia un quadro effettivamente inquietante. Le mafie investono da tempo nel gaming, questo è un dato risaputo, in particolare nell’online gestito da paesi esteri in cui vige una regolamentazione debole. Durante il lockdown, il gioco illegale è effettivamente ripartito, hanno riaperto persino le bische clandestine. In Italia però abbiamo Adm e Gdf che bloccano i siti e li inseriscono in una black-list, come non avviene in nessuna parte del mondo. Come le attività di vendita al dettaglio di altri settori, è un comparto rischioso per definizione e sul quale è necessario esercitare controlli continui. Il quadro è allarmante ma, intendiamoci, il settore non è in mano alle mafie. Il gaming legale è servito, al contrario, per far emergere il business illegale: il report della Dia dimostra che il sistema sa individuare e contrastare le infiltrazioni. Chi chiede una concessione viene sottoposto a controlli di ogni genere.
Come ci si difende dai rischi?
L’infiltrazione si argina armonizzando la legislazione europea, è soprattutto attraverso le società estere che avviene il riciclaggio. E poi manca chiaramente una authority Ue contro il gaming illegale. Se il gioco in generale è considerato strumento della criminalità allora dovrebbero chiudere anche bar e tabacchi, dove si vendono alcol e sigarette: non ha alcun senso logico demonizzare il gaming.
Quali sarebbero le misure concrete da adottare quindi?
Ci vuole la formazione dei gestori prima di tutto, i concessionari devono aumentare il controllo sui punti vendita. La gestione delle sale deve essere affidata solo a persone fisiche chiaramente riconoscibili e in numero estremamente limitato, per evitare la polverizzazione delle reti sul territorio. La licenza di pubblica sicurezza dovrebbe poi essere rilasciata dalle Direzioni Distrettuali Antimafia e non dalle Questure: la certificazione ordinaria non è sufficiente, come tutti sappiamo. Ci vorrebbe qualche settimana in più per ottenere l’autorizzazione ma in cambio avremmo maggiori garanzie sulle persone chiamate a condurre un punto vendita.
Clemente (Uif) ha lanciato pochi giorni fa l’allarme sul versamento di contanti nei conti di società, alcune del settore giochi, durante il lockdown. Cosa è successo davvero?
Esiste sempre la figura del riciclatore ingenuo. Si tratta chiaramente di casi isolati, probabilmente riconducibili ad attività di droga e usura, il cui provento è stato maldestramente utilizzato per finanziare società di diversi settori economici. L’Unità di Informazione Finanziaria, che è una eccellenza in campo europeo, è ovviamente subito intervenuta con le verifiche necessarie.
Il calo delle segnalazioni del primo semestre dell’anno – meno 26% più o meno - come si spiega?
Solo un dato statistico dovuto al lockdown e alla chiusura temporanea delle attività. Le segnalazioni sono frequenti e ben eseguite: l’antiriciclaggio nel gaming è sostenuto da leggi restrittive ma efficacissime ed è aumentata negli ultimi tempi la professionalità dei responsabili Aml. Anche i più recenti strumenti messi a punto dall’Uif, tra cui un sistema di data entry e un servizio di feedback, facilitano il lavoro di chi segnala.
NT/Agipro
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