Attualità e Politica
14/01/2021 | 11:11
14/01/2021 | 11:11
ROMA – L’ultima volta che hanno alzato la saracinesca era il 25 ottobre ma andando a contare anche il primo lockdown si toccano tranquillamente i sei mesi di chiusura. E all’orizzonte ancora nessuna possibile riapertura. Sono almeno un migliaio le sale slot, i punti scommesse e i bingo chiusi per effetto delle normative anti-Covid solo tra Veneto e Trentino, per un totale di oltre tremila lavoratori fermi al palo, tra titolari e dipendenti diretti (a livello nazionale il numero sale a 120mila). Famiglie i cui risparmi sono ormai agli sgoccioli, che si vedono consegnare le prime lettere di sfratto per i locali commerciali che avevano in affitto da anni e che, quando provano a far sentire la loro preoccupazione, devono anche fare i conti con lo stigma di un settore troppo spesso associato solo ai suoi estremi negativi, alle ludopatie che rovinano vite, alle lattine di birra abbandonate da sbandati fuori dalle sale peggio frequentate. Lo spiega bene Massimo Petracca, titolare di una sala slot a Portogruaro, che dopo dieci anni di attività si vede costretto a valutare l’ipotesi di abbandonare le macchinette e cambiare lavoro, anche con due figli adolescenti e cinque dipendenti. «Chi lavora per me prende 1500 euro al mese, con la cassa integrazione arriva a 600 – racconta Petracca al "Corriere del Veneto", sottolineando le difficoltà della sua squadra, che comprende anche una ragazza incinta - Fino a quando ho potuto ho cercato di provvedere io ma ora non mi è più possibile. E ho ricevuto anche la lettera di sfratto». La sala di Petracca, nel 2010, è costata quasi un milione di avviamento, a metà 2020, durante la riapertura, si spendevano oltre mille euro al mese di disinfettanti. «Non potevamo accogliere più di cinque persone alla volta con i nostri 200 metri quadri. Non che fosse un problema, qui non c’è mai l’affollamento. Eppure una volta si lavorava: nel 2019 ho versato quasi un milione allo Stato». È complicato chiedere aiuto, perché la lettera scarlatta del gioco d’azzardo rende sordo ogni interlocutore: «Invece qui la gente viene per rilassarsi non per distruggersi. Esagerare fa male certo ma vale per ogni cosa. Noi negli anni abbiamo coltivato una clientela corretta e fidata, vengono qui anche molti esponenti delle forze dell’ordine e non si sono mai verificate situazioni di tensione. Come noi, così tanti colleghi».
Se non altro a Portogruaro non si registrano casi di «furbetti» in concorrenza: il decreto che ha chiuso slot e sale scommesse ha obbligato anche bar e tabaccherie a sigillare le «macchinette» e, dopo un primo momento di confusione, tutti hanno ubbidito. Certo resta la concorrenza dell’online e delle altre forme di gioco dello Stato: le ricevitorie restano in funzione, le estrazioni di lotto, SuperEnalotto e lotterie continuano (solo pochi giorni fa sono stati sorteggiati i vincitori della Lotteria Italia, il quinto posto è andato proprio alla provincia di Venezia). E questo senza contare le bische illegali che preoccupano l’Agenzia dei Monopoli e che, fino a che non vengono scoperte, non possono essere conteggiate nell’equazione.
La chiusura prolungata del gioco legale mostra i suoi effetti sulle entrate erariali: se nel 2019 lo Stato aveva incassato oltre 11 miliardi di euro dal settore dei giochi, il gettito previsto per il 2020 è di poco superiore ai sette miliardi. In mezzo, tra la riapertura di giugno e la chiusura di ottobre, gli investimenti per adeguarsi alle normative, tra plexiglass, disinfettanti e continue opere di disinfezione. I risultati delle misure di sicurezza si sono visti: Sisal specifica a più riprese che nessun focolaio si sarebbe registrato all’interno delle sale da gioco. C’è anche un altro risvolto negativo, visto che chi intende giocare trova comunque un modo per farlo: «Durante il lockdown c’è stata una esplosione del gioco d’azzardo illegale a fronte di una contrazione del gioco legale» ha dichiarato pochi giorni fa Marcello Minenna, direttore generale dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, ricordando i numerosi interventi di repressione in oltre 50 capoluoghi di provincia. Senza alcuna luce in fondo al tunnel, nemmeno in vista della prossima scadenza del 15 gennaio, la tensione tra i lavoratori sale, anche alla luce del confronto con gli altri Paesi europei: se in Italia le giornate di chiusura sono state 183, in Francia 160, in Germania 156, nel Regno Unito solo 120.
RED/Agipro
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