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Attualità e Politica

16/11/2018 | 12:08

Operazione DNA: “Scommesse illegali, struttura piramidale e società estere per riciclare i soldi”

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Operazione DNA

ROMA - L’organizzazione che gestiva il giro di scommesse illegali scoperta dalla Direzione Nazionale Antimafia aveva una «struttura dalla forma piramidale»: a Catania, come riporta il “Giornale di Sicilia”, «al vertice della piramide, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, ci sono i catanesi Carmelo, Giuseppe e Vincenzo Piacenti (esperti del clan Santapaola nel gaming on line)», con la collaborazione di «una figura del tutto nuova: Fabio Lanzafame, giovane siracusano sempre in giro tra la Sicilia e la Romania, diventato collaboratore di giustizia. Era lui, un tempo, la mente dell'organizzazione con il ruolo di esperto informatico». Lanzafame «sta svelando a cinque procure i segreti del nuovo business dei boss. Da Catania a Palermo, da Reggio Calabria a Napoli, a Bari», si legge su “Repubblica Palermo”, che riporta dai verbali del pentito: «Io ho iniziato a lavorare nell'ambito delle scommesse, parliamo di "punto com" con dei siti online privi di autorizzazione, nella zona del Catanese. C'era la possibilità sia di bancare, sia di prendere una semplice provvigione». I boss non si erano ancora lanciati nel business. «Quindi è stato facile inserirsi». Era il 2003, mentre oggi lo scenario è cambiato. E le parole di Lanzafame stanno aprendo nuovi scenari di indagine: «Per come sono infiltrate le associazioni criminali nelle attività di gioco sarebbe difficile poter creare un'azienda da zero e dire "io ho il mio brand, io entro e la faccio"».

LA STRUTTURA DELLA PIRAMIDE

Alla base della piramide ci sono «sempre le agenzie di scommesse: dove si può far fare la giocata legale, ma allo stesso tempo è possibile fornire ai clienti la possibilità di giocare su piattaforme on line, spesso attive con licenze straniere», si legge ancora sul “Giornale di Sicilia”, si simula una attività di «trasmissione dati per la raccolta on line di scommesse», mentre in realtà la raccolta è quella classica «da banco» e in contanti. L’offerta è «varia e attrattiva dal punto di vista dei contenuti ed estremamente competitiva», visto che non sottoposta alla tassazione delle agenzie legali, mentre «lo scommettitore, solitamente, è ignaro della mancanza di tutela in caso di mancato pagamento». I diretti referenti del bookmaker sono «i cosiddetti Master, ovvero imprese o persone fisiche ai quali viene attribuita una determinata zona geografica». I Master hanno alle loro dirette dipendenze più agenzie o punti «che materialmente raccolgono le scommesse e costituiscono una rete».

LE SEDI ALL’ESTERO

I fratelli Piacenti avevano approntato da tempo un "piano B": una fuga dall'Italia verso la Romania, secondo “La Sicilia” nell’edizione di Catania, «O, per lo meno, questo è quel che avrebbe rivelato a un suo interlocutore proprio Carmelo Piacenti il quale, inconsapevole di essere intercettato». All’estero i Piacenti avevano delle buone basi anche «in Albania, a Malta, nelle Seychelles e nelle Antille Olandesi, ad esempio, avevano sede le società a loro riconducibili che gestivano le scommesse illegali e che erano interessate, specialmente quella con sede a Curacao, di un imponente flusso di denaro». Il giro era vorticoso e permetteva di ripulire i soldi così: «i proventi delle giocate effettuate sul sito "Revolutionbet365.com" venivano trasferite attraverso "Impaya" (un sito di e-commerce che garantisce l'anonimato) in un deposito bancario di Curacao intestato alla "Resolution Holding N.V. Curacao Company". Quel denaro, però, lì restava giusto il tempo di attivare le pratiche per il rientro: la "Resolution Holding N.V. Curacao Company" lo trasferiva verso la "Remote Betting" con sede in Alba- nia (società costituita dagli indagati con la collaborazione di una commercialista catanese, adesso nei guai per l'assistenza garantita allora e in periodo successivo), quindi dall'Albania veniva reintrodotto in Italia, magari grazie a una fattura falsa rilasciata da una delle attività riconducibili ai Piacenti».

DALLA SICILIA ALLA PUGLIA

La rete arrivava anche in Puglia: «i Martiradonna - si legge su “Repubblica Palermo” - avevano contatti anche con gli imprenditori catanesi Piacenti, i tre fratelli ritenuti vicini ai Santapaola, sono stati arrestati nel blitz di due giorni fa».

Nell'ordinanza «che ha fatto finire agli arresti Vito Martiradonna, i suoi tre figli Francesco, Mariano e Michele e altre 22 persone - si legge su “Repubblica Bari - è delineato il modus operandi di una nuova mafia che non spara ma clicca, come spiega proprio Vitino l'Enel, il pensionato che da cassiere della mafia si è trasformato in broker dell'illecito. Dopo una vita passata a far quadrare i conti dei boss di Bari vecchia, Martiradonna senior ha capito che il futuro è nella tecnologia, che consente di costituire società nei paradisi fiscali e gestire da lì i centri scommesse di tutta Italia, che riesce a spostare milioni di euro in un secondo e far sparire il denaro sporco dietro decine di prestanome, «lo cerco adepti nelle migliori università mondiali», diceva Vitino a Ciccio Capriati spiegando che la sua forza sta nel puntare sui colletti bianchi anziché sui vecchi sodali, sanguinari e ignoranti: «Ormai è una guerra di cervelli e noi in testa abbiamo i cannoni».

IL GIRO D’AFFARI IN PUGLIA

Le sette sale da gioco riconducibili a Tommy Parisi, il figlio del boss barese, fatturavano «circa 300.000 euro a settimana, quindi erano sale grosse». Con il 15% di utile medio, da dividere a metà con il bookmaker, e senza contare provvigioni di agenzia e gli altri giochi on-line. Sono queste le cifre che giravano nel sistema Martiradonna, come riporta “La Gazzetta del Mezzogiorno”. L’utilizzo dei “punto com” maltesi «si era diffuso a macchia d'olio in tutta la Puglia: la Bet1128 dei Martiradonna aveva i suoi «master» anche a Foggia e nel Salento. Quasi tutti sono stati arrestati». Le indagini hanno messo in luce «il ruolo di Giuseppe La Gala, 59 anni, referente foggiano dei Martiradonna già dai tempi della Paradisebet», che insieme «al socio, l'altro foggiano Alessandro Di Bello, 40 anni, e a Raffaele Tagliente, 38 anni, di Taranto», con Martiradonna aveva «un accordo molto lucroso, chiuso sulla parola: «Su 100 mila euro di fatturato e 50mila euro di pagato (scommesse perse per il bookmaker) restano 50mila, di cui 25mila vanno alla rete (provvigioni e premi da riconoscere ai li velli sottostanti, agenti e agenzie) e del delta di 25mila, parte, pari all'I ,50%, sono da riconoscere al provider, e la differenza da dividere tra lor due secondo le percentuali del 30% (a Martiradonna) e 70% (a Tagliente)», con una raccolta da un milione di euro e «di 20mila euro al mese che Tagliente consegna più volte in contanti a Francesco Martiradonna». Cifre ancora più consistenti quelle del business di «Giuseppe Decandia, 43 anni, di Al- tamura, ritenuto la vera mente del marchio Planetwin 365, venduto a un fondo olandese: è il cuore del , quello in base a cui il bookmaker austriaco (che aveva ottenuto la licenza italiana grazie alla sanatoria della Legge di Stabilità del 2015) offriva sottobanco nelle sue sale - secondo la Finanza - le scommesse illegali della Betll28 dei Martiradonna: per questo accordo i Martiradonna ottengono 18 milioni di euro, di cui- secondo le indagini - 10,8 sono stati già versati».

RED/Agipro

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