Attualità e Politica
21/11/2022 | 16:29
21/11/2022 | 16:29
ROMA - Il Consiglio di Stato ha rinviato alla Corte di Giustizia Europea i ricorsi degli operatori bingo contro la proroga delle concessioni disposta dalla legge di stabilità 2018, che ha portato da 5.000 a 7.500 euro i versamenti mensili dovuti dai concessionari. È quanto si legge nelle ordinanze collegiali appena pubblicate che riaprono il lungo contenzioso iniziato nel 2019. I provvedimenti della Settima sezione rimettono quindi in discussione la decisione del Tar Lazio, che aveva bocciato le istanze degli operatori dopo il passaggio in Corte Costituzionale. Nuovi i profili presi in esame dai legali delle società in particolare riguardanti la rinegoziazione delle condizioni di esercizio. Decisivi gli effetti della pandemia, che per mesi hanno del tutto fermato le attività delle sale. Come riporta il Consiglio di Stato, «i concessionari hanno rappresentato la grave compromissione nella tenuta delle sale e l’insostenibilità dei costi fissi e di gestione» e hanno portato ai giudici «dati conoscitivi aggiornati rispetto a quelli considerati nel giudizio che si è svolto dinanzi alla Corte costituzionale, risalenti all’anno 2019, ossia prima che scoppiasse la crisi pandemica». La progressiva riapertura delle sale e la momentanea sospensione dell'obbligo di pagamento del canone «sono stati un presupposto indispensabile per la sopravvivenza delle attività», tuttavia «tali misure, da sole, non sono state in grado né di compensare il grave disequilibrio generato da una contrazione della raccolta superiore al 50%, né di far recuperare quella perdita di utenza causata dalla più strutturale trasformazione della domanda». In una situazione di incertezza sull'indizione della prossima gara per le concessioni, assume un ruolo chiave l'Agenzia Dogane e Monopoli, che secondo gli operatori avrebbe dovuto valutare, anche con provvedimenti provvisori, «il riequilibrio economico-finanziario delle concessioni a fronte della grave crisi che caratterizzava il periodo». Tale facoltà è stata però negata dall'Amministrazione, che ha sostenuto l'impossibilità di intervento dovuta alla norma primaria, «non modificabile con un mero provvedimento amministrativo».
Il Consiglio di Stato dubita tuttavia la compatibilità di tale situazione con il quadro normativo europeo. Nel mirino finisce in particolare la mancanza «per effetto dell’interpretazione che l’Amministrazione fa di norme interne di rango legislativo primario, di un rimedio giuridico che riconosca all’Amministrazione medesima, il potere discrezionale di avviare, su istanza degli interessati, un procedimento amministrativo volto a modificare le condizioni di esercizio delle concessioni», nei casi in cui si verifichino «eventi non imputabili alle parti, imprevisti ed imprevedibili, che incidono in modo significativo sulle condizioni normali di rischio operativo». In base alla direttiva europea sulle concessioni, Palazzo Spada dubita inoltre del «meccanismo rigido di pagamento di un canone mensile di proroga tecnica», il cui ammontare viene stabilito dal Legislatore «in misura fissa mensile per ciascuna sala e senza alcuna valutazione concreta in ordine alle condizioni economiche della singola concessione e in modo potenzialmente idoneo ad alterare l’equilibrio generale della concessione». Nel caso del bingo, inoltre, «la modifica delle condizioni di equilibrio nella gestione delle concessioni non è avvenuta sulla base di un evento del tutto imprevedibile e sottratto alla disponibilità delle parti, ma è intervenuto proprio sulla base delle scelte dello Stato-legislatore».
I giudici mettono infine in discussione la compatibilità della norma rispetto ai principi europei di certezza della tutela giuridica e di tutela del legittimo affidamento. In questo caso la Sezione chiede alla Corte Ue - la cui udienza verrà fissata nei prossimi mesi - se sia compatibile con i principi comunitari una norma che «prevede a carico dei gestori delle sale Bingo il pagamento di un oneroso canone di proroga tecnica su base mensile non previsto negli originari atti di concessione, di ammontare identico per tutte le tipologie di operatori e modificato di tempo in tempo dal legislatore senza alcuna dimostrata relazione con le caratteristiche e l’andamento del singolo rapporto concessorio».
LL/Agipro
Foto credits Geobia/Wikimedia Commons/CC BY-SA 3.0
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