Attualità e Politica
20/05/2025 | 16:30
20/05/2025 | 16:30
ROMA - Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello presentato dalla società maltese Sogno di Tolosa Ltd - titolare nel suo paese della licenza di bookmaker per il gioco online - contro il diniego di proroga della concessione per l’attività di raccolta scommesse, confermando la decisione in primo grado del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio e la sentenza del Consiglio di Stato dello scorso 18 marzo. L’Agenzia delle Dogane aveva rigettato la domanda perché la proroga della concessione è consentita, per espressa disposizione legislativa, solamente ai concessionari e agli operatori che hanno sanato la propria posizione. La società, operante in Italia nel settore delle scommesse sportive attraverso una rete di titolari di esercizi fisici in diverse zone del territorio italiano, indicati come “sportelli virtuali affiliati” e comunemente denominati “centri trasmissione dati” (Ctd), lamentava l'illegittima esclusione dalla sanatoria prevista dalla legge n. 190/2014, ritenendola discriminatoria e in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, in particolare con il divieto di aiuti di Stato e la libera circolazione dei servizi. Per questo motivo, aveva presentato ricorso contro l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, contestando una presunta impossibilità ad aderire alla sanatoria fiscale introdotta per regolarizzare gli operatori non collegati al totalizzatore nazionale.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 18 marzo 2025, aveva confermato che la norma non esclude alcun operatore, ma concede solo una deroga per chiunque debba regolarizzare la sua posizione in Italia: la Legge di Stabilità prevede infatti che i “soggetti che possono procedere alla regolarizzazione sono quelli attivi, alla data del 30 ottobre 2014, che comunque offrono scommesse con vincite di denaro in Italia, tra cui, ovviamente, sono da ricomprendere Sogno di Tolosa ed i gestori dei punti affiliati”. Di conseguenza, la mancata partecipazione era dunque da interpretare come una libera scelta e non come una conseguenza di una presunta discriminazione normativa.
La società ha fatto appello contro la decisione, sostenendo in particolare che "i soggetti operanti in base alla legge n.190/2014 ben potrebbero svolgere attività di raccolta scommesse in Italia pur in difetto di qualsivoglia titolo abilitativo, avendo quindi diritto di accedere a quel regime di proroga onerosa che è stato invece negato con gli atti impugnati". Con tale motivo, "parte ricorrente ha sostenuto che l’attività svolta dai propri centri affiliati sarebbe inquadrabile nel regime della Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), in quanto l’attività svolta non necessita l’adozione di un alcun provvedimento definitivo da parte della Questura". Secondo il ricorrente, dunque, vi sarebbe un'errata interpretazione della legge.
Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello, confermando la sentenza di primo grado, sostenendo che la società "avrebbe potuto partecipare alla procedura di regolarizzazione in qualità di titolare di una rete fisica con un minimo di 50 punti aderenti", ma ha scelto di non aderire formalmente, pur potendo farlo. Il fatto che la società abbia spontaneamente pagato le imposte non le conferisce alcun diritto automatico alla proroga.
La società non aveva diritto alla proroga in quanto non titolare di concessione né partecipante alla procedura di regolarizzazione. La sua attività in Italia, basata su "centri trasmissione dati", non è stata riconosciuta legittima ai fini dell’accesso al regime di proroga. Il Consiglio di Stato ha quindi respinto l'appello.
FP/Agipro
Foto credits Sailko CC BY 3.0
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