Attualità e Politica
29/01/2020 | 16:43
29/01/2020 | 16:43
ROMA - «I collegamenti ed i rapporti» di Femia «con esponenti di organizzazioni mafiose non sono determinanti per dare la medesima qualificazione al gruppo da lui costituito che, una volta sorto ed in piena operatività, deve acquisire autonoma vitalità, non mutuabile dal carisma soggettivo del capo e tantomeno dalle relazioni personali di quest'ultimo». Così i giudici della Corte d'Appello di Bologna motivano la loro decisione del 29 ottobre, di far cadere l'accusa di associazione mafiosa nel processo "Black Monkey", nato da un'inchiesta della Procura di Bologna sul gioco d'azzardo illegale. Secondo la Corte, infatti, il gruppo guidato da Nicola Femia, che faceva profitti con le slot, non era legato alla 'ndrangheta, ma si configurava come una associazione "semplice". E questo ha comportato una riduzione delle condanne e alcune assoluzioni per i 23 imputati. «Manca - scrivono ancora i giudici - la prova di un esercizio concreto e percepito fra i cittadini della forza di intimidazione, che deve derivare direttamente dal sodalizio e non dal singolo Femia Nicola».
Del resto, secondo la Corte d'Appello di Bologna il ricorso a metodi intimidatori tipici di contesti criminali organizzati, «non connota, di per sé, il gruppo degli autori come mafiosi, ovvero come appartenenti ad un nucleo dotato di autonoma consistenza in grado di produrre effetti intimidatori a prescindere dalla realizzazione di singole condotte delinquenziali e di creare un'entità prevaricante e totalizzante». Entità, spiegano ancora i giudici, davanti alla quale, «non solo i non associati, ma anche gli stessi associati, non hanno altra scelta che piegarsi ed asservirsi per evitare reazioni estorsive di qualsiasi genere». In questo caso, invece, prendendo ad esempio alcune condotte estorsive, viene sottolineato come «non furono esplicative di uno stabile, costante ed imprescindibile "modus operandi" del sodalizio, ma al contrario, determinate da fattori contingenti in risposto all'operato delle stesse vittime». RED/Agipro
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