Attualità e Politica
12/05/2020 | 11:36
12/05/2020 | 11:36
ROMA - Anche la ludopatia può rientrare nei casi di infermità mentale, e dunque avere un peso nell'andamento di un processo, ma è necessario accertare una serie di fattori che ne dimostrino l'influenza sul comportamento di chi commette un reato. È quanto si legge nella sentenza della Corte di Cassazione che ha bocciato il ricorso di un ex assicuratore piemontese, condannato dal Tribunale di Verbania e dalla Corte di Appello di Torino per truffa. L'imputato, sub-agente di alcune compagnie assicuratrici, «faceva sottoscrivere false polizze assicurative per le quali incassava direttamente i premi versati». L'indagato aveva sostenuto di aver agito poiché affetto da ludopatia, ma per i giudici di merito questo aspetto «non costituiva indice di menomazione delle condizioni di capacità di intendere e di volere». Per i giudici supremi della Seconda sezione penale, invece, «in astratto» anche i disturbi della personalità come la ludopatia «possono rientrare nel concetto di infermità mentale» totale o parziale. Tuttavia la giurisprudenza «impone che la verifica» dell'eventuale infermità debba essere accertata: il disturbo deve innanzitutto avere «intensità e gravità» tali da incidere effettivamente sulla capacità di intendere e di volere di un imputato, «escludendola o scemandola gravemente»; inoltre, deve essere «in concreto collegato da un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa». Nel caso dell'assicuratore questo non si è verificato: in particolare, «sono mancate le necessarie acquisizioni capaci di dimostrare se, quando e come l'imputato abbia effettivamente abusato di gioco d'azzardo». Tutti aspetti indispensabili per giudicare la gravità del disturbo, l'incidenza sul reato e lo specifico nesso con le truffe. È quindi insufficiente la tesi della difesa, secondo cui il principale movente del reato era il «bisogno di ricercare denaro». Tale motivazione spiegherebbe «solo l'antefatto del reato», visto che le truffe «possono essere state commesse non già come risposta compulsiva al bisogno di approvvigionamento finanziario, ma come una delle varie possibili soluzioni atte a fronteggiare il desiderio di denaro, utile tanto a giocare di nuovo quanto all'esigenza di rimediare ai danni economici già prodotti da quel vizio». Il ricorso dell'imputato è stato quindi dichiarato inammissibile. LL/Agipro
(foto Needpix)
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