Attualità e Politica
28/11/2018 | 14:24
28/11/2018 | 14:24
ROMA - Dubbi sulla compatibilità tra il diritto dell'Unione e la norma italiana che introduce la "betting tax" per i CTD: li ha sollevati la Commissione Tributaria Provinciale di Parma, in accoglimento della richiesta della difesa di Stanley e di un CTD ad essa affiliato, rappresentati in giudizio dagli avvocati Daniela Agnello e Vittoria Varzi. Di conseguenza, la Commissione ha disposto il rinvio degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. È quanto si legge in una nota della società inglese.
La norma sull'imposta unica per i centri scommesse senza concessione era stata inserita nella legge di stabilità 2011, equiparando dal punto di vista fiscale i ctd alle normali agenzie di betting e assoggettandoli al pagamento dell’imposta unica sulle scommesse. Per Stanley, però, «risulta palese la nuova e ulteriore discriminazione» subita dai suoi centri dopo i lunghi contenziosi nei tribunali italiani ed europei per la mancata partecipazione della società ai bandi di gara. «È vero che i concessionari pagano direttamente l’imposta sulle scommesse - si legge nella nota - ma lo stesso fa Stanley che paga l’imposta in favore del Paese (Malta) che l’ha autorizzata, non certo in favore di quello che le ha sistematicamente impedito l’accesso. Da qui l’ovvia conclusione, fatta propria dal giudice tributario di Parma: l’imposta unica per i CTD non è una tassa ma una sanzione dissimulata, diretta a scoraggiarne l’attività. Ne consegue chiaramente che la discriminazione contro Stanley continua attraverso la via fiscale». Sarà ora necessario attendere il vaglio della Giustizia Europea, «ricordando che la Corte Costituzionale ha già dichiarato l’incostituzionalità della norma, per quanto riguarda la sua retroattività a periodi antecedenti all’entrata in vigore della legge. Per i periodi successivi, appunto, la parola ora è al Giudice europeo».
«Siamo fiduciosi che la materia possa essere risolta prima del giudizio della suprema Corte Europea, che richiederà almeno un anno». È questa la posizione di John Whittaker, Chairman di Stanley, raggiunto al telefono nel suo ufficio di Liverpool, che prosegue svelando che «A questo fine, ho avviato fin dallo scorso mese di luglio 2018, informandone il Ministero dell’Economia, un colloquio costruttivo con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che per ora ha assunto solo la forma di uno scambio epistolare. Proprio ieri ci è pervenuta una prima risposta ‘tecnica’ di ADM, su cui non posso entrare nel merito, ma le cui preoccupazioni penso possano essere superate se c’è buona volontà per la ricerca di una soluzione da entrambe le parti».
Sulla stessa linea Giovanni Garrisi, CEO di Stanley, intervistato questa mattina nello stand della compagnia al SIGMA, la più importante esibizione annuale dell’industria a Malta. «Sono rispettoso e orgoglioso per essere ancora una volta al cospetto dei giudici dell’Alta Corte europea, ma anche preoccupato». Perché preoccupato? «Questa è una vicenda che dura da 18 anni. Anche se la Corte di Giustizia dovesse esprimere un giudizio a favore di Stanley mi chiedo che cosa succederebbe dopo. Ci troveremmo comunque a dover rispondere in futuro, sia noi che i funzionari ADM, per tutto il tempo e le risorse sprecate e per non essere stati capaci di evitare tutti i pregiudizi e i danni che questa contrapposizione ha arrecato e sta arrecando a tante persone e alle loro famiglie, nessuno escluso. Lo scontro va raffreddato. So che John Whittaker e ADM, sotto l’attento occhio del Ministero dell’Economia, hanno cominciato a parlarsi. Auspico che la saggezza prevalga e che gli attuali problemi possano essere risolti anche prima del giudizio della Corte. Faccio appello a Snai, Sisal e Lottomatica, che sono i Concessionari storici, a collaborare con noi e ADM per favorire questo processo di integrazione, nel migliore interesse di tutti nel settore». RED/Agipro
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