Attualità e Politica
22/02/2019 | 14:22
22/02/2019 | 14:22
ROMA - I gestori di apparecchi di gioco privi di nulla osta non sono responsabili del versamento del Preu, se gli apparecchi in questione erano operativi prima del 2007. Lo ha stabilito la Quinta sezione civile della Corte di Cassazione sul caso sollevato dall'Agenzia Dogane e Monopoli: la vicenda riguarda un gestore romagnolo, nei confronti del quale l'Amministrazione aveva avviato il recupero delle somme evase per i tributi relativi al 2006. Dopo la conferma da parte della Commissione tributaria provinciale di Bologna, il giudice d'appello aveva rivisto la sentenza, ritenendo, scrive la Cassazione, «che la normativa vigente nell'anno d'imposta 2006 non prevedesse la responsabilità diretta o indiretta del gestore dell'apparecchio da intrattenimento privo di nulla osta e non collegato alla rete», con il concessionario considerato «unico soggetto d'imposta».
Una situazione poi modificata dalla legge finanziaria 2007, che però - scrive la Cassazione nella sentenza - non aveva effetti retroattivi. Nel 2006 le disposizioni di legge prevedevano che i soggetti passivi fossero individuati «nei titolari di uno specifico nulla osta rilasciato per l'esercizio delle macchine, e cioè in primo luogo nei concessionari di rete», dunque «l'ambito della soggettività passiva d'imposta è diversa e non può essere estesa oltre i limiti individuati dalla legge a ricomprendervi anche coloro che gestiscono illecitamente gli apparecchi». Secondo la Cassazione non può quindi essere accolta la tesi dei Monopoli, secondo cui «la mancata previsione di una tale responsabilità sarebbe sopperita attraverso una interpretazione della norma costituzionalmente orientata, in virtù del principio generale dell'ordinamento tributario per cui le imposte relative all'esercizio di una determinata attività sono dovute anche se questa è svolta abusivamente».
Né può essere equiparato al Preu la precedente imposta sugli intrattenimenti «che ha continuato ad essere applicata ai soli congegni da gioco». Per il periodo in questione l'esercizio abusivo degli apparecchi era ancora sanzionato con pesanti multe, disposte però da un altro testo di legge; «norma che conferma ancora una volta - conclude la Cassazione - che il legislatore aveva tenuto ben presente il rischio di possibili condotte elusive, ma aveva inteso applicare una diversa disciplina tributaria». LL/Agipro
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