Attualità e Politica
21/01/2020 | 13:00
21/01/2020 | 13:00
ROMA - Via libera al "distanziometro" previsto dal regolamento del Comune di Bologna per la sale da gioco. Il Tar Emilia Romagna ha bocciato in blocco il ricorso presentato dai gestori di sette sale scommesse contro la norma che prevede almeno 500 metri di distanza tra attività legate al gioco e luoghi sensibili come scuole e chiese. Netta la posizione del tribunale amministrativo, per il quale il proliferare delle sale - soprattutto dopo la sanatoria del 2015 - ha imposto l'intervento dell'Amministrazione: «La sostanziale liberalizzazione, che forse troverà una moderazione in occasione della prossima gara nel 2020, ha richiesto una reazione sul piano sanitario che non può non comportare una tendenziale riduzione dei punti in cui è possibile svolgere quelle attività a rischio di ludopatia», si legge nei provvedimenti. I giudici ricordano che la delibera comunale prevedeva anche una proroga da sei mesi a un anno per le sale che avrebbero deciso di delocalizzare l'attività e spostarsi in una nuova sede. Una possibilità economicamente poco vantaggiosa per i gestori, a cui però il Tar non fa sconti: «È evidente che delocalizzare comporta oneri aggiuntivi che si giustificano in relazione ai benefici per la collettività che ne potranno derivare - si legge ancora - ma bisogna dimostrare di aver almeno tentato di trovare un’alternativa, cosa che potrebbe consentire al Comune di prorogare il momento della chiusura del punto che non rispetta le distanze». D'altra parte, se fosse troppo difficile cambiare sede delle sale scommesse, «tutti i punti vendita dovrebbero essere costretti a spostarsi senza trovare una valida alternativa, ma non risulta che ciò sia accaduto». Per questo motivo i giudici sono scettici anche sul presunto "effetto espulsivo" della norma nei confronti delle attività di gioco: «Questo effetto, ammesso che la tesi esposta sia corretta - cosa che richiederebbe un’approfondita verificazione o consulenza - non è il frutto di atti illegittimi, ma di una disciplina che avrebbe favorito eccessivamente la tutela della salute pubblica rispetto all’iniziativa economica» e non è dunque contestabile. «Il diritto alla libertà di iniziativa economica privata non è assoluto - conclude il Collegio - poiché può esercitarsi nel rispetto dell'utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana». LL/Agipro
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