Attualità e Politica
11/05/2022 | 18:03
11/05/2022 | 18:03
ROMA - Le leggi regionali che prevedono "distanziometri" molto stringenti per le attività di gioco potrebbero essere in contrasto con i principi costituzionali di iniziativa economica, uguaglianza, ragionevolezza e legittimo affidamento. A sottolinearlo è il presidente emerito della Corte Costituzionale, Annibale Marini, in un parere rilasciato qualche giorno fa – che Agipronews ha potuto leggere – nel quale il giurista affronta uno dei nodi più problematici del settore. La questione riguarda ancora una volta le norme regionali e locali che hanno introdotto il criterio della distanza minima dai luoghi sensibili per sale e apparecchi da gioco. Regolamenti giudicati più volte legittimi dalla Corte Costituzionale, poiché afferenti al tema della tutela della salute che di competenza concorrente tra Stato e Regioni. Marini fa presente però che tali decisioni «non si estendono al contenuto della regolamentazione concretamente adottata, sul quale la Corte non si è ancora pronunciata». Uno dei punti più dibattuti dagli operatori davanti ai tribunali amministrativi è quello dell'"effetto espulsivo" causato dal distanziometro, che in alcuni casi è particolarmente severo da impedire a imprenditori ed esercenti di operare su interi territori, o da costringerli al trasferimento in «zone remote, irraggiungibili e dunque inidonee ad ospitare un'attività economica.»
Fino a oggi Tar e Consiglio di Stato hanno ritenuto sufficiente la possibilità, anche minima, della delocalizzazione delle attività in punti lontani dai luoghi sensibili. Secondo Marini, però, «l’effetto espulsivo si verifica non solo nelle ipotesi in cui si raggiunga una percentuale identica o prossima alla totalità» su un certo territorio, «ma anche laddove si superino soglie più basse ma tali da rendere non attrattiva l’attività economica e da risultare non proporzionate». In mancanza di una soglia minima a livello statale, «che pure sarebbe auspicabile», spetta alla Corte Costituzionale «valutare se la percentuale di esclusione debba considerarsi ragionevole», visto che in tali casi «l'intento regolatorio e conformativo del distanziometro non sarebbe né congruo né proporzionato rispetto allo scopo e rischierebbe di produrre risultati analoghi a quelli di un provvedimento proibizionistico».
Si pongono poi problemi di uguaglianza, dato che la circostanza per cui ogni Regione possa decidere «in maniera difforme dalle altre» la regolazione del distanziometro «rischia di determinare una disparità di trattamento tra coloro che operano in una Regione piuttosto che in un'altra». In questi casi, «si potrebbe addirittura venire a creare una sorta di "business istituzionale”, basato sulle scelte politiche sui diversi territori»; scelte discrezionali che corrono il rischio di essere utilizzate «in maniera propagandistica, al fine di ottenere più o meno consensi».
Profili di dubbio emergono anche sulla ragionevolezza delle norme, visto che alcune leggi di questo tipo potrebbero essere approvate «senza tenere in alcun conto le specifiche e diverse realtà dei Comuni che ricadono nel territorio regionale», introducendo «un distanziometro rigido e anelastico». Infine, conclude Marini, si impone una riflessione sul fatto che le norme su distanziometro incidono anche «su attività già autorizzate e in corso di svolgimento», in contrasto con il principio di legittimo affidamento.
LL/Agipro
Foto credits Brian Turner CC BY 2.0
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