Attualità e Politica
09/04/2024 | 12:00
09/04/2024 | 12:00
ROMA - Le limitazioni orarie e distanziometriche non sono uno strumento efficace per il contrasto del gioco patologico. A dirlo ad Agipronews è Massimo Barra, uno che dell'argomento ne sa qualcosa. L'attuale presidente emerito della Croce Rossa Italiana è l'ideatore di Villa Maraini, una fondazione con sede a Roma che da oltre quarant'anni combatte in prima linea le principali forme di dipendenza tra cui quella da gioco d'azzardo.
Incontrato da Agipronews nel suo ufficio nel cuore di Villa Maraini, Barra ha spiegato nel dettaglio la sua visione sul modo di combattere le dipendenze, e sul perché ritiene inefficaci le attuali misure: “Per un ragazzo che vuole giocare i 500 metri di distanza dalla scuola non creano problemi. Le autorità, non potendo fare niente, fanno quello che possono. Ma quello che propongono, rispetto alla realtà di come va il mondo, è una battaglia di retroguardia”.
Mentre le istituzioni cercano di trovare un'intesa sulla distanza minima dai luoghi sensibili per l'installazione degli apparecchi, Barra va oltre e, senza giri di parole, boccia la misura adottata fin qui in autonomia dalle varie regioni: “Si tratta di foglie di fico, e la stessa cosa vale per i limiti orari. E' un'illusione pensare di poter combattere il fenomeno in questo modo”.
Nonostante tutto, le regioni hanno speso poco più del 60% del fondo disponibile per il contrasto al GAP. Il commento di Barra è secco: “L'amministrazione non funziona. Se hanno i soldi e non li spendono, probabilmente è perché non ci guadagnano”.
Che soluzioni suggerisce a chi sta lavorando sulle misure di contrasto al gioco patologico?
“E' necessario curare la gente prima che si ammali: bisogna individuare quelle persone che non sanno cosa fare, che si annoiano o sono stanche. Devono avere qualcosa da fare, quindi tutto ciò che le eccita diventa un sostituto di altre soddisfazioni. Io però non faccio politica, io curo la gente, e vedo l'abisso di depressione in cui cade la gente con le dipendenze”.
Quali sono le cause di questa patologia?
“La noia, la mancanza di divertimento e la disponibilità economica, che è un bell'incoraggiamento. D'altro canto il giocatore è contento pure quando perde. Non è un fatto logico, ma un fatto patologico che va intercettato e curato”.
Quindi non la stupisce la diffusione del fenomeno anche nel mondo del calcio, come hanno rivelato le inchieste.
“E' un fenomeno molto diffuso, giocano così tanto perché hanno tanto tempo libero e tanti soldi. Anche il discorso di trattarla come una dipendenza patologica rischia di essere ambivalente. Rischia di annullare la volontarietà e quindi la responsabilità. E' difficile stabilire il limite tra fisiologico e patologico quando ci sono in mezzo i soldi”.
Quali sono le sue previsioni per il futuro?
“Non credo più a niente, ne ho viste troppe”.
GM/Agipro
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