Attualità e Politica
11/02/2022 | 10:40
11/02/2022 | 10:40
ROMA - La Corte di Appello di L’Aquila ha accolto il ricorso dell’avvocato Daniela Agnello e dell’avvocato Carmela Auriemma, con disapplicazione della sanzione amministrativa applicata al titolare dell’agenzia di gioco fisico, per aver tenuto 15 apparecchi di intrattenimento in assenza della licenza di polizia.
L’Agenzia Dogane e Monopoli di Pescara a seguito di un controllo presso un punto fisico, aveva applicato la sanzione amministrativa al titolare del centro per avere detenuto 15 apparecchi di intrattenimento e consentito l’attività di raccolta di scommesse per conto del bookmaker straniero Stanleybet, senza la necessaria autorizzazione di cui all’art. 88 Tulps.
La Corte ha richiamato la giurisprudenza penale sostenendo l’equiparazione del luogo di vendita del concessionario al centro Stanleybet discriminato nell’accesso al sistema concessionario secondo la giurisprudenza dell’Unione Europea. La Corte asserisce «infatti, secondo la stessa giurisprudenza citata dal ricorrente il reato ipotizzato non sussiste se - dopo aver invano richiesto l'autorizzazione ex art. 88 Tulps, rifiutata per il solo fatto che la società estera mandante non fosse titolare di concessione – il terminale italiano di una rete facente capo ad un allibratore straniero, autorizzato ad operare in uno Stato dell'Unione ed illegittimamente discriminato in Italia nell'assegnazione delle concessioni di gioco, operi in modo trasparente come soggetto, contrattualmente legato al bookmaker, che riceve le scommesse ed il denaro costituente la posta di gioco e trasmette i dati all'allibratore, eventualmente pagando poi le vincite su mandato di quest'ultimo».
Secondo la Corte, «il ragionamento ormai consolidato della Cassazione penale va condiviso anche in questa sede per escludere la configurabilità dell’illecito amministrativo a carico degli operatori privi della licenza di pubblica sicurezza nel caso di mancanza imputabile unicamente all’assenza di titolo concessorio in capo all’operatore straniero mandante, che non abbia partecipato a gare indette con bandi contenenti clausole discriminatorie alla stregua del diritto eurounitario».
La Corte dispone quindi «il criterio dell’applicabilità alla materia delle sanzioni amministrative dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità penale, stante la natura delle sanzioni e l’obbligo generale del giudice nazionale di disapplicare la normativa interna non conforme al diritto comunitario».
La Corte ha quindi accolto la tesi difensiva degli avvocati Agnello e Auriemma concludendo che la sanzione amministrativa come quella penale vanno disapplicate con condanna dell’amministrazione alle spese dei giudizi di primo e di secondo grado.
RED/Agipro
Foto Credits George Hodan CC0 1.0
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