Attualità e Politica
13/07/2021 | 12:31
13/07/2021 | 12:31
ROMA - Il reato di scommesse abusive avviene in presenza di «qualsiasi condotta che favorisca le attività di accettazione o di raccolta di scommesse senza avere i titoli necessari». È quanto scrive la Corte di Cassazione nella sentenza che dichiara inammissibili i ricorsi presentati da due esercenti siciliani. Gli imputati erano stati condannati alle pene di legge dalla Corte d'Appello, che aveva contestato il reato di raccolta abusiva. La responsabilità penale del primo indagato, titolare in un punto vendita ricarica, è stata motivata secondo la Cassazione con una «valutazione di fatto censurabile». Il tribunale d'appello ha quindi applicato correttamente il principio per cui «il reato in esame è integrato da qualsiasi condotta che favorisca le attività di accettazione o di raccolta di scommesse, anche per via telematica, attraverso le quali si pongano a disposizione di terzi scommettitori strutture, apparecchi o strumenti di supporto tecnico», nei casi in cui «si tratti di persona che non abbia richiesto l'autorizzazione di polizia e non agisca per conto di un allibratore estero titolare di concessione». Il reato sussiste quando «la condotta intermediatrice vietata consista nell'allestimento di un esercizio dedicato alla raccolta delle scommesse online, al fine di intercettare i giocatori». In questo caso, i giudici di merito hanno accertato che nel locale «si offriva la possibilità di far giocare i clienti direttamente al banco». La sentenza di secondo grado ha smentito la tesi che il locale fosse «un mero PVR, in quanto dai dati prodotti dalla stessa difesa emergeva che l'agenzia era stata aperta come "CED" (centro elaborazione dati) e necessitava quindi dell'autorizzazione». Confermata la condanna anche per il secondo indagato, accusato di concorso nel reato: «Come preposto - conclude la Cassazione - egli gestiva de facto l'attività commerciale, tanto che al momento del controllo veniva trovato da solo nel locale e le ricevute di scommesse rinvenute riportavano il suo codice fiscale», una circostanza che conferma «la sua piena e consapevole partecipazione al reato».
LL/Agipro
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