Attualità e Politica
26/02/2020 | 13:12
26/02/2020 | 13:12
ROMA - La sentenza della Corte Ue sull'imposta scommesse su agenzie estere «apre due prospettive giurisdizionali diverse». È quanto si legge nella nota dell'avvocato Daniela Agnello, legale di Stanleybet Malta Limited e Stanleyparma nelle cause alla Corte di Giustizia. In merito all'annualità 2011/2015 «la sentenza appare in contrasto con la giurisprudenza resa dalla stessa Corte di Giustizia nelle sentenze Gambelli, Placanica, Costa Cifone e Laezza. - si legge nella nota - Nelle precedenti sentenze si chiarisce che l’attività dei centri Stanleybet è analoga a quella delle ricevitorie italiane dei concessionari e si statuisce che la sanzione penale non può trovare applicazione (punto 85 Costa Cifone). Oggi la Corte per giustificare l’imposizione fiscale, in maniera inedita, asserisce che il centro italiano non si trova in una situazione analoga a quella degli operatori nazionali. La Corte fa riferimento agli obiettivi della legge di stabilità e nella specie a quello di contrastare le attività di gioco illecito (v. art. 1, co. 64, legge 220/2010: «... rendere più efficaci ed efficienti l’azione per il contrasto del gioco gestito e praticato in forme, modalità e termini diversi da quelli propri del gioco lecito e sicuro, in funzione del monopolio statale in materia di giochi ...»)».
«Appare evidente, quindi - prosegue il legale di Stanleybet - che la Corte per giustificare la normativa italiana in materia di imposta unica sia entrata in contraddizione con se stessa. La sentenza Stanleyparma contrasta con la giurisprudenza della stessa Corte resa sulle questioni penali. La sentenza di poche righe rimanda agli obiettivi della legge dimenticando le sentenze rese già in precedenza. Per le annualità 2011/2015 si devono, quindi, chiedere ulteriori lumi interpretativi alla luce dell’intera giurisprudenza della Corte».
In merito alle annualità successive al 2015 «la sentenza non si è occupata dell’inasprimento della finalità sanzionatoria sotteso all’imposta unica introdotto dalla legge di stabilità 2016, la quale ha previsto che il tributo si applichi su un imponibile forfettario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato il punto di raccolta, con l’aliquota massima stabilita. L’evoluzione della normativa verso un incremento della pretesa fiscale a livelli inusitati costituisce l’impronta digitale che la normativa originaria ha intenti sanzionatori e non fiscali. Il quesito non ha trovato soluzione - conclude la nota - perché secondo la Corte non era pertinente al procedimento principale. Si apre quindi la prospettiva e la necessità di nuovi rinvii interpretativi alla luce dei due principi oggi enunciati 1.“situazioni analoghe devono essere trattate in maniera uguale” e2.“non si possono applicare restrizioni che ostacolano o rendono meno attraenti l’attività agli operatori esteri che forniscono servizi analoghi».
RED/Agipro
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