Attualità e Politica
09/01/2019 | 18:28
09/01/2019 | 18:28
ROMA - Anche se non sono dei pubblici ufficiali, gli arbitri che commettono «illeciti» nella conduzione delle partite oggetto di «concorsi pronostici» sono soggetti al processo contabile davanti alla Corte dei conti e in caso di condanna devono risarcire il Coni se, all'epoca del match "aggiustato", gestiva i giochi legati alle manifestazioni sportive, ruolo che negli ultimi anni è stato ridimensionato. Lo hanno deciso le Sezioni Unite civili della Cassazione che hanno confermato la condanna di Salvatore Marrazzo ex arbitro di Salerno iscritto all'Aia, e di Pietro D'Elia ex designatore arbitrale per la serie D ed ex arbitro internazionale, a risarcire in solido il Coni con 271.677 euro per danno erariale in relazione alla partita di spareggio nel campionato nazionale dilettanti (che all'epoca era la denominazione dell'attuale serie D) giocata il primo giugno 1997 tra il Rieti e il Pomezia, il cui risultato era tra quelli rilevanti per il concorso Totogol. Il danno era derivato dal fatto che - spiegano gli 'ermellini' - nonostante la partita fosse stata sospesa da Marrazzo nei minuti finali a seguito della quinta espulsione di un calciatore del Pomezia (e ciò a norma di regolamento che prevede un minimo di sette giocatori per squadra), «il risultato considerato ai fini della combinazione vincente era stato quello di 1-0 in favore del Rieti (punteggio in atto al momento della sospensione), in base a un secondo referto arbitrale inviato dal Marrazzo, su impulso del D'Elia, nel quale l'ultima espulsione era stata collocata temporalmente a partita già conclusa».
Anche se non sono dei pubblici ufficiali, gli arbitri che commettono «illeciti» nella conduzione delle partite oggetto di «concorsi pronostici» sono soggetti al processo contabile davanti alla Corte dei conti e in caso di condanna devono risarcire il Coni se, all'epoca del match "aggiustato", gestiva i giochi legati alle manifestazioni sportive, ruolo che negli ultimi anni è stato ridimensionato. Lo hanno deciso le Sezioni Unite civili della Cassazione che hanno confermato la condanna di Salvatore Marrazzo ex arbitro di Salerno iscritto all'Aia, e di Pietro D'Elia ex designatore arbitrale per la serie D ed ex arbitro internazionale, a risarcire in solido il Coni con 271.677 euro per danno erariale in relazione alla partita di spareggio nel campionato nazionale dilettanti (che all'epoca era la denominazione dell'attuale serie D) giocata il primo giugno 1997 tra il Rieti e il Pomezia, il cui risultato era tra quelli rilevanti per il concorso Totogol.
Il danno era derivato dal fatto che - spiegano gli 'ermellini' - nonostante la partita fosse stata sospesa da Marrazzo nei minuti finali a seguito della quinta espulsione di un calciatore del Pomezia (e ciò a norma di regolamento che prevede un minimo di sette giocatori per squadra), «il risultato considerato ai fini della combinazione vincente era stato quello di 1-0 in favore del Rieti (punteggio in atto al momento della sospensione), in base a un secondo referto arbitrale inviato dal Marrazzo, su impulso del D'Elia, nel quale l'ultima espulsione era stata collocata temporalmente a partita già conclusa».
Una volta accertato dalla Corte federale della Figc che la partita era stata invece sospesa, il Coni aveva provveduto a risarcire, per un totale di circa un miliardo e mezzo di lire, tutti quei partecipanti al concorso Totogol che avevano presentato ricorso, «essendo interessati a far valere l'avvenuta sospensione della gara ed il conseguente diverso risultato convenzionalmente previsto in tal caso dal regolamento del concorso, cioè lo stesso della prima partita tra quelle in elenco nella relativa giornata (nella specie, 2 a 2)». Si trattava di 13 agenti della polizia di Nettuno che reclamarono la loro vincita. Senza successo, le difese di Marrazzo e D'Elia per schivare la condanna erariale - il processo penale si è concluso con la prescrizione - hanno sostenuto che «l'arbitro è soggetto estraneo alla struttura organizzativa della Pa e si trova ad operare, rispetto alla "gestione pronostici", nel quadro di un mero ed occasionale rapporto libero professionale svolto per altre precipue finalità, con evidente difetto di giurisdizione della Corte dei Conti».
Tesi che non ha convinto la Cassazione che ritiene che «l'arbitro è investito di fatto di un'attività avente connotazioni e finalità pubblicistiche, se non altro in quanto inserito a pieno titolo nell'apparato organizzativo e nel procedimento di gestione dei concorsi pronostici da parte del Coni, con il connesso impiego di risorse pubbliche». Per i giudici, «sussiste pertanto quella relazione funzionale e quella compartecipazione con l'ente pubblico, sopra indicate, idonee a configurare la responsabilità contabile e quindi a radicare la giurisdizione della Corte dei Conti». Il verdetto della Cassazione, a più di venti anni da quello che doveva essere solo un "modesto" incontro di calcio, mette la parola fine a un grande scandalo nel quale rimase coinvolto, per poi essere prosciolto, anche l'ex numero uno della Lega Dilettanti, Elio Giulivi, morto lo scorso maggio. RED/Agipro
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