Attualità e Politica
12/02/2018 | 17:00
12/02/2018 | 17:00
ROMA - Si può dare di più? Secondo buona parte della politica italiana la risposta è sì, se si parla di quanto il settore dei giochi pubblici versa allo Stato italiano sotto forma di tasse. L'ultima esternazione di peso è di Alessandro Di Battista (M5S), che ieri sera, ospite di Fabio Fazio su “Che tempo che fa”, ha ribadito: «Vogliamo innalzare la tassazione del gioco d’azzardo e riteniamo di essere gli unici in grado di farlo, in quanto non abbiamo alcun conflitto d’interesse». Non più tardi di qualche giorno fa, sullo stesso tasto aveva battuto Massimo D'Alema (LeU), legando il tema all'abolizione dei ticket: «Per cancellarli – ha detto - basterebbe aumentare di poco la tassazione sul gioco d’azzardo». A stretto giro si è espresso anche Riccardo Nencini, segretario del Psi e candidato nel collegio uninominale: «È possibile creare almeno 700.000 posti di lavoro impegnando una quindicina di miliardi. Troviamo parte delle risorse aumentando la tassazione sul gioco d'azzardo».
Sull'argomento, entrato ormai in campagna elettorale, si può fare chiarezza partendo dalle cifre: secondo una elaborazione Agipronews su dati dei Monopoli di Stato relativi al 2017, su 18,9 miliardi di incassi (al netto delle vincite pagate), gli operatori di gioco hanno versato all'Erario 9,9 miliardi. Il livello di imposizione si attesta quindi sul 52%, malgrado alcuni esponenti politici basino la loro critica su aliquote molto più modeste.
Per capire l'arcano è necessario distinguere tra aliquote di legge e aliquote “reali”. Le prime sono calcolate sulla base del volume di gioco, la cosiddetta raccolta, senza tenere conto del fatto che tale volume viene abbattuto dalle vincite. Le seconde sono, appunto, quelle calcolate sulla base di quanto rimane agli operatori, una volta pagate le vincite. Un esempio eloquente è quello delle slot, la cui raccolta è tassata al 19%. Poniamo che un giocatore inserisca complessivamente 100 euro in una slot. Può vincere o può perdere, tutto dipende dalla fortuna, ma a gioco lungo l'apparecchio tenderà a conformarsi ai parametri previsti dalla legge, e quindi: il 70% tornerà in vincita, il resto, cioè 30 euro, rimarrà nella macchina. Di questi 30 euro, 19 finiranno all'Erario, secondo l'aliquota di legge. Gli altri 11 remunerano la cosiddetta filiera, formata da concessionari di rete, gestori ed esercenti. Diciannove euro in tasse su 30 euro incassati: l'aliquota effettiva per la filiera delle slot si aggira dunque intorno al 63%.
Discorso simile per i Gratta e Vinci: su 100 euro giocati, alla filiera, pagate le vincite, ne rimangono circa 27. Di questi, una quindicina vanno allo Stato, circa il 55%.
Situazione diversa per il gioco on line, tassato direttamente sul margine, cioè su quanto rimane del volume di gioco una volta detratte le vincite. Nel caso delle scommesse, va in tasse il 22%, che diventa il 20% per tutti gli altri giochi (poker, giochi da casino). Sono in piedi proposte per allargare la tassazione al margine anche ad altri giochi pubblici, primi fra tutti gli apparecchi.
MF/Agipro
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