Attualità e Politica
18/05/2020 | 13:42
18/05/2020 | 13:42
ROMA - Lo stop confermato a sale scommesse e sale bingo apre la strada a una serie di contenziosi nei tribunali amministrativi regionali. È il parere dell'avvocato Luca Giacobbe, dello studio legale Giacobbe Tariciotti & Associati, esperto di gaming. Il decreto firmato ieri da Giuseppe Conte dispone che «sono sospese le attività di sale giochi, sale scommesse e sale bingo» fino al 14 giugno; una differenziazione, rispetto ad altre attività economiche a cui è stato concesso il via libera, che presenta innanzitutto due grandi questioni di principio: «Il decreto legge del 16 maggio sulle riaperture - spiega ad Agipronews - prevede che la limitazione delle attività debba essere stabilita "nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità"». Premesse che, secondo Giacobbe, mancano invece nel Dpcm firmato ieri da Conte. «Sale scommesse e sale bingo hanno criticità legate alla sicurezza uguali, se non inferiori, rispetto ad altre attività economiche». L'avvocato porta a esempio le palestre «che presentano una complessità maggiore dal punto di vista della prevenzione del contagio». Per quanto riguarda le sale bingo, «il contesto è simile a quello della ristorazione. Si sta seduti, si staziona per un certo periodo di tempo. E come nel caso della ristorazione, sono applicabili procedure di sicurezza apposite». Nel caso delle sale scommesse «lo stazionamento è addirittura inferiore. Il giocatore può entrare per fare la sua puntata e poi uscire senza ulteriori rischi, come già avviene con il Lotto e il Superenalotto nelle tabaccherie». L'avvocato ricorda poi il protocollo realizzato dall'associazione Ascob con CISAL Terziario e l'accordo firmato giovedì scorso dai sindacati Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs e Fipe Confcommercio e dagli operatori del bingo: nel documento sono contenute le linee guida condivise per limitare al massimo il pericolo di contagio nelle sale e per la sicurezza dei lavoratori. «Il settore si è mosso prima rispetto ai protocolli di carattere nazionale e regionale, con un'attuazione molto specifica. Per questo credo siano possibili ricorsi degli operatori al Tar».
Proprio le ordinanze regionali sono un altro punto critico secondo Giacobbe: «Il decreto legge sulle riaperture ha dato la possibilità ai governatori di adottare misure derogatorie, a seconda dell'andamento epidemiologico nel territorio. In alcuni casi le decisioni prese non sembrano seguire questo criterio, per esempio in Abruzzo dove rimane l'obbligo di spegnere le slot machine. Non ci sono però dati che, almeno in quella regione, motivino tale decisione. Dunque siamo di fronte anche a un difetto di istruttoria, mancano cioè dati oggettivi sulla cui base disporre certi divieti, il cui principio sembra ormai più ideologico». Le ordinanze regionali, continua, «sono disposizioni provvisorie, che vanno ratificate da un dpcm del governo; per giustificare le ulteriori restrizioni dovrebbero basarsi sull'andamento del contagio e su dati epidemiologici».
La chiusura prolungata di sale scommesse e bingo si complica anche sul fronte dei danni economici: «Di fronte ai Tar un ulteriore questione potrebbe riguardare gli aspetti risarcitori». Su questo punto la questione sarebbe duplice: nel calcolo di eventuali risarcimenti potrebbero finire non solo le perdite di guadagni dovute allo stop più lungo del dovuto, ma anche al problema dei canoni che gli operatori sono tenuti a versare per la loro attività. Quelli delle sale bingo sono stati sospesi con il decreto Cura Italia, «ma per gli operatori di scommesse rimane l'incognita delle cifre già versate per la proroga della concessione: c'è chi ha versato tutto l'importo per il 2020 lo scorso dicembre (7.500 euro per ogni agenzia, 4.000 per i "corner", ndr) e chi invece ha versato la prima rata a gennaio. Vista la situazione, gli operatori potrebbero chiedere all'Agenzia Dogane e Monopoli la restituzione delle somme». LL/Agipro
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