Attualità e Politica
27/02/2020 | 16:31
27/02/2020 | 16:31
ROMA – Il distanziometro dai luoghi sensibili – introdotto da Regioni e Comuni come strumento di protezione dei giocatori a rischio e che spesso si traduce nel «divieto praticamente assoluto di gioco in zone urbane» - potrebbe paradossalmente «favorire il soggetto affetto da dipendenza da gioco, determinandone pertanto la concentrazione delle sale in luoghi periferici, isolati dallo sguardo altrui e dallo stigma derivante». Inoltre, «le periferie stesse potrebbero finire per essere penalizzate da un’elevata densità di offerta, con una probabile influenza negativa sui giocatori sociali normalmente residenti nelle zone stesse». Anche in merito ai limiti orari «permangono notevoli dubbi, sostanziati da uno studio recente che mostra come l’interruzione del gioco, non accompagnata da uno specifico intervento da attuare durante il periodo di break, non rappresenti uno strumento efficace nel trattare questo comportamento». È quanto si legge nello studio "Il disturbo da gioco d’azzardo. Implicazioni cliniche, preventive e organizzative" di Giovanni Martinotti, del Dipartimento di Neuroscienze dell'Università “G. d’Annunzio” di Chieti, presentato oggi a Roma nel corso del XXIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicopatologia.
«L’approccio totalmente o prevalentemente proibizionista» non sembra «portare a una contrazione indifferenziata dell’offerta» di gioco. Al contrario, bisognerebbe «incrementare la conoscenza precoce dei fattori di rischio» e migliorare «le terapie erogate dai servizi», sviluppando «modelli di presa in carico, trattamento e riabilitazione» dei pazienti e «strategie volte a individuare precocemente i soggetti vulnerabili e a rischio di addiction, prima che di specifica dipendenza».
ROMA - Tra gli strumenti da adottare per prevenire la dipendenza, lo studio fa riferimento alla «possibilità di attuare un registro di esclusione, fruibile a livello nazionale e in grado di impedire l’accesso nelle aree di gioco a soggetti sensibili o già diagnosticati e/o in trattamento per disturbo da gioco», da integrare «con la rete territoriale sanitaria dei servizi per le dipendenze (Serd), dei Centri di Salute Mentale (CSM) e del Terzo Settore qualificato». Altre misure riguardano «la possibile revisione dei parametri di gioco degli apparecchi, che consentano di misurare l’accesso al gioco d’azzardo in termini di tempo trascorso e di denaro speso, consentendo la possibile individuazione precoce di situazioni di gioco a rischio».
«Le risorse fiscali derivanti dal comparto del gioco devono essere redistribuite in favore dei servizi per la prevenzione e la cura delle dipendenze», si legge nello studio. «È auspicabile un maggiore confronto con chi ogni giorno si dedica alla cura delle dipendenze, così come una maggiore permeabilità con i risultati delle ricerche neuroscientifiche che si occupano di addiction». Inoltre si suggerisce di «finanziare ricerche utili alla valutazione scientifica delle misure applicate all’utenza, con particolare attenzione alle diverse tipologie di soggetti interessati (giocatori “sociali”, problematici, affetti da disturbo da gioco “puro”)», per «valutare tempestivamente e oggettivamente l’impatto delle diverse misure adottate».
MSC/Agipro
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