Attualità e Politica
07/09/2018 | 14:37
07/09/2018 | 14:37
ROMA - «L'unanimità di intenti che abbiamo raggiunto rappresenta la grande forza di questo accordo, capace di riportare a un alveo di normalità un settore che rischiava una pericolosa deriva. Si tratta del primo significativo tassello di una strategia complessiva di riforma del settore che sancisce una vera inversione di tendenza». Era il 7 settembre 2017, esattamente un anno fa, quando l'allora sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta spargeva ottimismo dopo la firma dell'intesa Stato-enti locali sul riordino nazionale dei giochi. Il documento, dieci pagine fitte di buoni propositi e obiettivi ambiziosi, era il risultato di quasi due anni di estenuanti trattative tra Governo, Regioni e Comuni, nell'arena della Conferenza Unificata.
È passato un anno, ma sembra un'altra epoca: l'accordo, largamente misconosciuto a livello locale, non è mai partito, anche perché il decreto ministeriale che doveva dargli forza, previsto entro il 31 ottobre 2017, non è mai stato emanato. Per eludere l'intesa, gli enti locali hanno più volte evocato la “clausola capestro” inserita in extremis nel tentativo di uscire dall'impasse: quella che permette alle Regioni di «prevedere forme maggiori di tutela per la popolazione» in funzione antiludopatia. Un'indicazione che dà in pratica mano libera alle amministrazioni locali e che da sola minaccia tutto il dispositivo. Dopo le elezioni del 4 marzo e il conseguente cambio della guardia al governo del Paese, il documento è stato definitivamente messo in soffitta. Un rapido esame delle sue misure principali basta a constatare come queste siano rimaste quasi totalmente sulla carta.
Riduzione delle slot – È in pratica l'unico provvedimento applicato, ma solo perché anticipato dalla manovrina economica approvata nel giugno 2017. Le slot in esercizio sul territorio nazionale sono passate da circa 400 mila a 265 mila.
Dimezzamento dei punti vendita – Secondo l'accordo, si sarebbe dovuto passare da 98.600 punti di gioco abilitati a ospitare le slot, a circa 55 mila, tutti certificati sulla base di parametri qualitativi. Per avviare il processo di riduzione, le Regioni avrebbero dovuto comunicare il numero di punti di gioco compatibili con le proprie normative e sulla base di quelle indicazioni il Governo avrebbe emanato un decreto di contingentamento. Nulla di tutto questo è successo, alcune Regioni in via autonoma hanno avviato un drastico taglio delle licenze, rendendo di fatto inapplicabile la riduzione studiata su base nazionale. In tale situazione è impossibile emanare il previsto bando per 10 mila agenzie di scommesse e 5 mila corner, non esistendo alcuna garanzia per le aziende sulla distribuzione dei punti vendita.
Le nuove slot “da remoto” - Le 265 mila slot rimanenti sul mercato dopo il processo di riduzione avrebbero dovuto essere sostituite entro il 31 dicembre 2019 da apparecchi di nuova generazione, che funzionano solo se collegate alla rete dello Stato. Lo prevedeva già la Legge di Stabilità del 2016. La sostituzione doveva partire dal 1° gennaio 2018, ma anche in questo caso il relativo decreto ministeriale è rimasto lettera morta.
Le altre misure – Largamente superata a livello locale l'interruzione massima di sei ore quotidiane per il funzionamento delle slot. Mai partita la revisione dell'attuale disciplina dei Casinò finalizzata al risanamento del settore, così come il completamento delle modalità di rilancio per l'ippica. Sul piano fiscale, l'intesa prevedeva la predisposizione di normative per il passaggio alla tassazione sul margine. In realtà, al momento dell'intesa, alcune tipologie (per esempio le scommesse) erano già tassate sul margine, per le altre (vedi slot e Vlt) il prelievo continua a essere calcolato sull'intera raccolta.
MF/Agipro
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