Attualità e Politica
12/04/2021 | 11:21
12/04/2021 | 11:21
ROMA - La licenza di pubblica è necessaria per svolgere l’attività di raccolta scommesse. A ribadirlo è la Terza sezione penale della Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal titolare di un centro trasmissione dati in provincia di Taranto, collegato a un bookmaker maltese senza concessione, condannato dal Tribunale di Taranto e dalla Corte di Appello di Lecce alla pena di giustizia per raccolta abusiva di gioco. Il mercato italiano delle scommesse, ha ricordato il Collegio, prevede un sistema a doppio binario che richiede sia la concessione statale per i bookmaker, sia la licenza di polizia per i gestori di punti vendita sul territorio. Un sistema la cui legittimità è stata confermata dalla Corte di Giustizia Europea, a meno che il bookmaker non sia stato escluso dalle gare in maniera illegittima. Raccogliere gioco senza i titoli previsti è quindi un reato, così come lo è l'intermediazione, che faceva parte dell'attività del ricorrente.
«Il ricorrente - si legge nella sentenza - non si era limitato ad allestire un mero servizio transfrontaliero offerto da un operatore estero mettendo a disposizione dei clienti le apparecchiature utilizzate per il gioco», ma «aveva costituito una struttura dedicata interamente ed esclusivamente alla raccolta delle scommesse online», raccogliendo direttamente le scommesse. Un comportamento che «esclude, in ogni caso, qualsivoglia profilo discriminatorio nella partecipazione alle gare». L'attività di intermediazione, «è chiaramente vietata dal regolamento disciplinante le scommesse a raccolta di scommesse» e «può avvenire lecitamente solo ed esclusivamente se posta in essere da parte di soggetti titolari di concessione».
La Corte d'Appello ha poi accertato che il gestore non aveva aderito alla sanatoria prevista dalla legge di stabilità 2015. «La sottoposizione dell'operatore al differente regime previsto» dal comma 644 dell'articolo 1 «non esplica alcun effetto sull'illecito penale». Nel testo della manovra - che ha introdotto per la prima volta il condono fiscale per i bookmaker senza concessione - veniva in effetti fatta una distinzione tra i centri che avrebbero versato le somme previste per l’emersione (comma 643 dell'articolo 1) e quelli che invece avrebbero solo presentato l’autodenuncia alla Questura della propria attività (comma 644). L'adesione a quest'ultimo punto, spiega la Cassazione, «non comporta alcun riflesso sanante quanto al reato in oggetto, giacché la norma, oltre a stabilire ulteriori obblighi e divieti specificamente sanzionati in via amministrativa, ha fatto salva la norma penale nei confronti di coloro che non aderiscano al sistema di regolarizzazione del comma precedente».
In ogni caso, anche per quanto riguarda il comma 643, «in nessun passaggio del provvedimento normativo si contempla l'estinzione o la non perseguibilità del reato eventualmente derivante dalle condotte pregresse poste in essere, sì che detta regolarizzazione non può che operare, quanto agli aspetti penalistici, per i soli comportamenti successivi». I giudici supremi respingono infine la tesi secondo cui il reato sarebbe frutto di un errore conseguente a una normativa contraddittoria. «Chi intende svolgere una data attività commerciale è gravato dell'obbligo di acquisire preventivamente informazioni circa la specifica normativa applicabile in quel settore, sicché, qualora deduca la propria buona fede, non può limitarsi ad affermare l'incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali». LL/Agipro
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