Attualità e Politica
29/07/2024 | 15:00
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ROMA – Niente maxi risarcimento da 1,5 miliardi di euro per il bookmaker estero Stanleybet, che ha avviato una causa civile contro lo Stato italiano perché gli è stato ”impedito” o “reso eccessivamente difficile” l'accesso al mercato italiano dei giochi e delle scommesse nel periodo dal 1998 al 2006. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione Civile, rigettando il ricorso della società di scommesse. Esaminando la richiesta miliardaria, la Cassazione ha sottolineato che “il sistema normativo nazionale italiano non è stato mai ritenuto illegittimo” dalla corte di Giustizia UE. La Suprema Corte, questa volta in favore della ricorrente, ha poi confermato che in una situazione come quella di Stanleybet – discriminata nell’accesso alle gare e al mercato del betting - “non è consentita l'applicazione delle sanzioni penali per l'esercizio abusivo dell'attività” da parte dei gestori delle agenzie. La conclusione della complessa vicenda sul versante penale, quindi, “non è minimamente in discussione”.
LA DECISIONE – Sul fronte della giustizia civile, afferma la sentenza, è però “ragionevole affermare che i soggetti che, in questo settore, intendano esercitare la loro attività in Italia vanno legittimamente assoggettati alle regole dalle quali è disciplinato il regime concessorio nazionale”. La Corte d'Appello – contro cui ha presentato ricorso la società estera - ha stabilito che l'accesso della Stanley al mercato italiano dei giochi e delle scommesse era stato impedito “non da un atteggiamento discriminatorio fondato sulla regola di stabilimento” ma piuttosto dal “modus operandi della stessa Stanley, incentrato su intermediari diffusi capillarmente e difficilmente controllabili, come invece prescritto dalla normativa nazionale”. Le Sezioni Unite sottolineano che non è scalfita quindi “la valutazione della Corte d'Appello circa l'insussistenza del fondamento della responsabilità risarcitoria”. Stanleybet, riconosce la suprema Corte, esercita l'attività di raccolta scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia, che “non può essere addebitata – come è scritto nella sentenza “Placanica” della Corte UE del 2004 - a soggetti che non avrebbero potuto ottenere tali autorizzazioni per la violazione del diritto comunitario". La Corte di giustizia “ha convenuto sulla legittima possibilità che una normativa nazionale introduca restrizioni alla libera prestazione di servizi in considerazione di obiettivi specifici, come la lotta contro la criminalità e il controllo delle attività dei giochi di azzardo”. Le altre decisioni della Cassazione e del Consiglio di Stato, citate dalla compagnia durante la causa, concernono situazioni in cui si discuteva di questioni differenti: dalla responsabilità penale sancita dalla legge 401 del 1989 ai provvedimenti di revoca delle licenze di rivendita di generi di monopolio e, infine, alla cancellazione dall'elenco Ries per il mancato rilascio della licenza di pubblica sicurezza.
GM/Agipro
Foto credits Sergio D’Afflitto/Wikimedia Commons/CC BY-SA 3.0 I
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