Attualità e Politica
14/06/2025 | 19:15
14/06/2025 | 19:15
ROMA - Una premessa: nel caso voleste fare un esempio sull'essenza di un amore travolgente non abbiate indugi nel fare riferimento a quello di Gianluca Vacchi per il padel. “Ha ragione. E' un amore che ogni giorno si ridefinisce verso l'alto, scoprendo nuovi confini”, dice durante una pausa tra le partite del BNL Italy Major Premier Padel. E dubbi non ne abbiamo, basta guardare come si entusiasma nel parlarne, che sia il colpo di un campione, una sua partita (gioca molto bene, si sa) o un'idea di espansione imprenditoriale. A proposito, iniziamo.
Buongiorno Gianluca Vacchi, vorremmo intanto capire chi stiamo intervistando: il Vacchi giocatore, l'imprenditore o l'imprenditore nel mondo del padel?
“Con tutti e tre. Non mi si può incasellare in una sola figura. La mia propensione verso il padel, sia da giocatore che da imprenditore, è fortissima. A Miami ho anche un circolo: il padel è la mia vita”.
Il circolo di Miami, giusto. Come si definirebbe? Una sorta di Marco Poco del padel, alla scoperta di nuovi territori per la pala o cosa? Lei tra l'altro spesso trasforma in vere e proprie 'catene' i suoi brand.
“Assolutamente sì. Vorrei espandere il modello in altre parti degli Stati Uniti. L’America è fondamentale perché è un trendsetter. Se il padel cresce lì, cresce ovunque. Il mio circolo a Miami ha quattro campi, un tetto basso, ma funziona: la gente ci va a piedi. Pensi che attualmente è il più redditizio al mondo per campo, anche grazie al target alto della città, certo...”.
L'obiettivo è dunque diffondere il verbo negli States?
“E' una sfida stupenda. Bisogna portare il padel dove ci sono gli americani non di origine latina come capita a Miami. Quest'ultimi hanno nella loro cultura questo sport e la sfida è espandersi dove non c'è ancora questa cultura, quindi New York, Los Angeles, o in Colorado, ad Aspen. Vorrei creare una catena di “boutique club”, luoghi dove si possa reinterpretare la classe dei grandi giocatori in una sorta di visione architettonica, tra grazia, bellezza ed eleganza. È una sfida, ma anche un modo per contribuire alla crescita di questo sport”.
Interessante. Facciamo un esempio a caso: La bandeja di Belasteguin che diventa un disegno di un architetto, riflettendone l'eleganza nel progetto. Abbiamo capito bene?
“Esatto”.
Secondo lei, quanto velocemente potrà accadere tutto questo? E quali sono le criticità?
“Il padel è lo sport più socializzante che abbia mai incontrato. È virale e ha barriere d’ingresso bassissime. L'accesso è immediato anche solo per chi ha impugnato dei racchettoni in spiaggia. Ma è come negli scacchi, si può imparare rapidamente a giocare, ma per diventare bravi serve studio profondo e dedizione. Il pickleball? Negli States è forte ma non mi preoccupa, il vantaggio di non avere un Sinner o un Alcaraz che catalizzano attenzione ed emulazione lascia molto spazio agli altri sport di racchetta, ma il problema sono i costi. A Miami noi spendiamo 50mila dollari al mese di affitto e se i costi sono questi bisogna puntare alla clientela d'elite, rallentando così la propagazione di massa. Poi certo, c'è l'emulazione: se David Beckham o Gianluca Vacchi giocano a padel i fan seguono l'esempio”.
Lei un circolo lo aveva già in Italia, con tre campi. In casa sua...
“Sì privato ovviamente (ride) e ho avuto anche un campo da tennis in erba, ai tempi venivano ad allenarsi da me giocatori importanti prima della stagione sul verde. Ora sto rifacendo un nuovo campo da tennis in manto erboso. E sui tre campi di padel ho ospitato tutti i giocatori più importanti. Chi mi manca tra i big? Aspetto Chingotto, che però ha giocato da me a Miami e Ale Galan con cui sono molto amico, ma verranno, tranquilli”.
Gianluca Vacchi wild card in un torneo Premier Padel: scelga il compagno ideale e la compagna per il misto.
“Intanto giocherei con la fascia nera al braccio e la racchetta listata a lutto. Lo sapete: Fernando (Belasteguin ndr) mi manca da morire. Direi Mike Yanguas, siamo amici. Però per conquistare il mio cuore serve un certo tipo di percorso come quello su cui si è fondata l'amicizia tra me e Bela. Sono un po’ come una 'principessa' di quei cartoon il cui cuore è difficile da conquistare. Certo, poi sono anche molto amico di Coki Nieto, Agu e Arturo eh! (Tapia e Coello ndr). Se dovessi scegliere una compagna, invece, sarei indeciso tra Bea Gonzalez e Ari Sanchez”.
Cambiamo gioco. Se potesse rubare tre colpi ad altrettanti giocatori.
“Lo smash di Tapia, senza dubbio. Ma non mi fermo ai colpi, mettiamoci dentro anche le situazioni di gioco e allora dico le transizioni di Coki Nieto: riesce a stare a fondo campo e a rete allo stesso tempo, è pazzesco! Poi la manualità di Juan Lebrón e l’eleganza di Galan. Se dovessi far vedere il padel a qualcuno che non lo conosce, mostrerei un video di Galan. E infine aggiungo Arturo Coello nella capacità di rispondere e arrivare a rete 'bloccando'”.
Tapia e Coello sono la coppia perfetta?
“Assolutamente. Sono perfetti come un Rembrandt su una parete in salotto. Si completano. Tapia ha più kick, Coello più potenza. Ma soprattutto sono sereni insieme. Hanno una semplicità, un’umiltà, un’intesa incredibile. Arturo sbagliava diverse risposte da giovanissimo, ora è quasi perfetto. A proposito: lei lo sa che Arturo ha cambiato marcia giocando in coppia con Bela vero? E lo sa chi ha creato quella coppia? Fui io a mettere insieme Fernando e Arturo... Tornando alla sua domanda, la serenità tra i partner è quasi tutto. È la chiave. Se uno dei due ha problemi caratteriali, si rovina tutto. Tapia e Coello hanno il segreto della serenità reciproca e in campo diventano una cosa sola che vince e si diverte, questo è impagabile”.
La chitarra di Paquito come suona?
“A lui voglio bene, ci ho parlato ieri e gli ho detto di tenersi stretto Bergamini: quel ragazzo è un cuore puro. Lui piace alla gente e piace anche a me”.
E Chingotto?
“A lui va un premio speciale. Ha doti fisiche meno evidenti, ma compete con chiunque. Ha fatto sacrifici enormi e ora ne gode i frutti”.
Lei è il primo 'Belasteguinista' al mondo da sempre. Suo amico, quasi un fratello. Dica la verità gli ha fatto una scenata per il ritiro?
“No. Un po’ per l’età, un po’ per gli acciacchi… lo dico con amore ma non poteva più competere come prima e da uomo intelligente quale è ha capito il momento giusto di chiudere la carriera da giocatore, come un re nel torneo Premier Padel di Milano. Credo che una leggenda debba ritirarsi da leggenda. La gente dimentica in fretta e per una leggenda il ricordo deve essere quello di una leggenda. Fernando ha scelto il momento giusto perché lui è stato il più grande e lo sarà per sempre. E mi scusi, vorrei aggiungere una cosa...”.
Prego.
“Pensiamo al tennis e a Federer, Nadal e Djokovic, tre fuoriclasse diversi tra loro difficilmente replicabili. Ecco, Fernando è stato Nole, Roger e Rafa in un solo giocatore di padel”.
RED/Agipro
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