Attualità e Politica
01/08/2019 | 13:10
01/08/2019 | 13:10
ROMA - La norma relativa alla tassa da 500 milioni alla filiera slot e vlt e alla sua applicazione «soprattutto a seguito della limitazione dell’ambito temporale di applicazione, non appare in contrasto né con le disposizioni costituzionali, né con il diritto dell’Unione europea e, in particolare, con il principio della tutela dell’affidamento». Così il Tar Lazio nelle sentenze pubblicate oggi sul caso sollevato nel 2015 e già sottoposto ai giudici amministrativi e alla Corte Costituzionale. Secondo il Collegio della Seconda sezione - che si era già espresso a fine giugno sulla vicenda - l'aver circoscritto l'ambito temporale della disposizione - introdotta dalla legge di stabilità 2015 - conduce «alla conclusione che non vi è violazione del principio di concorrenza». Secondo il Tar non si ravvisa «alcuna lesione dell’impianto comunitario e di principi, né un contrasto con i parametri costituzionali di cui agli artt. 41 e 117 Cost. e, a maggior ragione alla luce dello jus superveniens, non può ritenersi sussistente neanche la dedotta violazione del principio di uguaglianza, quindi il contrasto della norma in rilievo con l’art. 3 Cost. poiché le situazioni dei diversi segmenti del gioco lecito non sono equiparabili e comunque non vi è alcuna prova che, a fronte della misura contestata con riferimento al solo 2015, non ne siano state adottate altre dirette nei confronti degli altri settori, eventualmente in anni differenti».
In merito al criterio stabilito «per ripartire tra i concessionari – e tra gli altri operatori della filiera facenti capo a ciascuno di questi - la misura di contribuzione rispetto alla quota da versare (500 milioni di euro)», i giudici amministrativi hanno ricordato che la legge di stabilità 2015 è stata prevista «"in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31.12.2014”».
Il Tar ha, poi, ribadito, come già evidenziato nelle sentenze del giugno scorso, che con l'addizionale da 500 milioni «non è stato istituito un nuovo tributo». L'intenzione del legislatore, cioè, era quella di «incidere, riducendolo, sulla misura del compenso remunerativo dei soggetti che compongono le filiere delle reti di raccolta del gioco». In altri termini, visto che il denaro che lo Stato lascia a tali filiere, «è pur sempre pubblico», è come se con la legge di stabilità lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi di euro a 3,5 miliardi di euro «il montante delle risorse messe a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione». Superata, secondo i giudici, anche la questione della ripartizione dell'addizionale tra i diversi soggetti della filiera: la legge di stabilità 2016 ha chiarito che il versamento della somma spettante ai tredici concessionari «deve essere ripartita tra ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali».
Un intervento decisivo anche per gestori ed esercenti, «inizialmente obbligati a versare l’intero ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso loro spettante», e successivamente «tenuti unicamente in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015», senza dover rinegoziare i loro rapporti con i concessionari. Il provvedimento con cui è stata introdotta l'addizionale da 500 milioni era già stato sottoposto al Tar Lazio, che a novembre 2015 aveva rinviato la questione alla Corte Costituzionale. Lo scorso anno, poi, la Consulta ha rimandato al Tar gli atti gli atti della causa per una nuova valutazione. La Corte aveva stabilito che le modifiche apportate dalla legge di stabilità 2016 alla tassa da 500 milioni avevano cambiato i presupposti delle questioni di costituzionalità sollevate da società ed esercenti ed era dunque necessaria una nuova valutazione. SA/Agipro
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