Attualità e Politica
16/10/2019 | 11:30
16/10/2019 | 11:30
ROMA - Sacrosanta la lotta alla ludopatia ma, così com'è, la legge che dal luglio scorso vieta pubblicità e sponsorizzazioni alle società di scommesse danneggia lo sport e non raggiunge le finalità per le quali è stata approvata. Questo il parere di Luigi De Siervo, amministratore delegato della Lega di Serie A, che in un'intervista rilasciata ad Agipronews fa un primo bilancio sugli effetti della normativa, a tre mesi dalla sua entrata in vigore.
La Lega è stata critica fin dal primo momento nei confronti del divieto. Le previsioni pessimistiche hanno già trovato una conferma?
«In effetti la Lega Serie A ha espresso in più occasioni, e nelle sedi opportune, la propria preoccupazione per una legge che ha creato un danno evidente sui bilanci dei club italiani, riducendone i ricavi in modo considerevole. Se si guarda al panorama europeo, il mercato delle sponsorizzazioni nel calcio e nello sport nel 2018 ha raggiunto il valore record di oltre 20 miliardi di euro, e i ricavi da sponsorizzazione derivanti dalle società di betting rappresentano una notevole fonte di guadagno per i club delle massime divisioni delle top 5 Leghe Europee. In Italia per il solo sistema calcio si stima una perdita annua superiore ai 100 milioni di euro».
Qualche mese fa, davanti alla Commissione Cultura della Camera, lei ha parlato di danno grave alla competitività delle nostre società in campo internazionale.
«La penalizzazione in termini di competitività nei confronti delle altre leghe europee è evidente. Più della metà delle nostre squadre ha dovuto interrompere un accordo di partnership con aziende del comparto betting, la quinta categoria merceologica come investimenti nella classifica delle sponsorizzazioni di maglia dei sei principali tornei europei. Per fare un paio di esempi, Betway, l’azienda che aveva siglato una partnership con la Roma, è attualmente lo sponsor di maglia con il più alto contratto in Premier League, oltre 10 milioni di euro con il West Ham. Allo stesso modo, Marathonbet ha lasciato la Lazio per sottoscrivere un accordo con il Siviglia».
È il calcio il settore che ha subito maggiormente gli effetti di questo divieto di sponsorizzazione dei brand di giochi e betting?
«La perdita non riguarda soltanto il sistema calcistico italiano, ma anche l’editoria e il mercato televisivo, ad esempio, subiranno una forte diminuzione dei propri introiti. Lo stesso Stato italiano nei prossimi tre anni rischierà di perdere sino a 700 milioni di gettito erariale a causa del divieto per questo tipo di advertising, senza considerare il rischio del taglio di molti posti di lavoro per le aziende italiane operanti nel betting. Infine avremo ripercussioni a catena anche sul valore degli spazi pubblicitari gestiti dai centri media, che evidentemente diminuiranno il loro valore in assenza di investitori, un indebolimento progressivo che andrà ad incidere sull’Italia come paese candidato ad ospitare grandi eventi internazionali o anche sulla possibilità di investire sul rifacimento degli stadi».
La Lega sta facendo passi nei confronti del Governo per una revisione della normativa?
«C’è massimo rispetto e collaborazione con il Governo per le finalità del provvedimento, ma bisogna rendersi conto che il gioco d’azzardo è il vero obiettivo da colpire per aiutare coloro che soffrono di ludopatia. A distanza di qualche mese dall’entrata in vigore del decreto Dignità, che ha introdotto il divieto, possiamo constatare che le misure adottate non si sono rivelate efficaci. Serve un intervento che consenta di salvaguardare la finalità della norma, ma che non diminuisca le risorse delle nostre Società, risorse che servono per acquistare giocatori forti, per rifare gli stadi, per investire nei vivai».
A suo giudizio, cosa si potrebbe fare per circoscrivere e ridurre il problema della ludopatia?
«In primo luogo il contrasto dovrebbe avvenire con appositi programmi di prevenzione, educazione e disincentivo al gioco patologico. Si può pensare anche di destinare a questi programmi una quota dell’investimento pubblicitario delle aziende di betting. Il divieto di ogni forma di comunicazione e pubblicità favorisce il proliferare del gioco clandestino, individuato dagli esperti come la vera causa delle ludopatie. Da ultimo, ma non per ultimo, è bene evidenziare che il fenomeno della dipendenza afferisce maggiormente i giochi di puro azzardo, e non le scommesse sportive, per le quali è richiesta comunque una forte base di razionalità, di studio statistico e di calcolo che mal si conciliano con la compulsività del gioco d’azzardo».
A proposito di formazione, come si muove la Lega Serie A?
«Il sistema calcio italiano è preso dai Paesi esteri come modello di riferimento per le iniziative e i corsi di formazione contro il match-fixing che organizziamo per i nostri calciatori, dalla Serie A alle giovanili. Trovo paradossale che proprio questo sistema sia penalizzato con la sottrazione di risorse che venivano dedicate, tra l’altro, proprio a questi programmi di educazione».
Nel suo intervento alla Commissione Cultura lei fece una distinzione fra le promozioni televisive e la possibilità per i club di esibire sulla maglia o a bordo campo sponsor del betting: può essere una linea plausibile in vista di possibili modifiche della legge?
«Mi auguro ci possa essere un intervento delle forze politiche in questo senso. Non possiamo equiparare le sponsorizzazioni di brand di aziende di betting con chi divulga il gioco legato, ad esempio, all’azzardo e alle slot machine. Si potrebbe magari ragionare sulla non promozione delle quote live, che potrebbero ingenerare il gioco compulsivo.
Alcune società (Juve, Roma, ora anche il Bologna) stanno concludendo contratti con sponsor di scommesse destinati al mercato estero. Qual è il suo giudizio al riguardo?
«È legittimo che le nostre società sfruttino le possibilità offerte dalla tecnologia. Oggi, utilizzando la virtual overlay, è possibile customizzare le proprie sponsorizzazioni all’estero con brand diversi per differenti territori. Il dato penalizzante per le nostre Società, ancora una volta, riguarda brand e loghi di società di betting che vengono visti in Italia durante partite internazionali trasmesse in televisione sul territorio italiano. Oltre al danno di cui abbiamo parlato poco fa c’è quindi la beffa di società di betting che scelgono di investire in sponsorizzazioni all’estero e fanno comunque pubblicità visibile in Italia comparendo sulle maglie di squadre straniere le cui partite sono diffuse in tv anche in Italia».
Secondo alcuni esperti della normativa riguardante i giochi, il dibattito andrebbe trasferito in ambito comunitario, puntando a una disciplina valida per tutti gli stati membri. La ritiene una strada condivisibile?
«Comparando la normativa italiana con quella europea, emerge evidente la forte asimmetria – a tutto svantaggio dell’Italia - nel trattamento del fenomeno. Italia, Lettonia e Lituania sono gli unici tre Paesi membri dell’Unione europea che vietano la pubblicità dei giochi in forma assoluta. Nel resto d’Europa, invece, il divieto di pubblicità riguarda gli operatori illegali, mentre quelli legali operano in un contesto in cui la pubblicità è possibile, anche se fortemente regolamentata e orientata a tutela dei consumatori attraverso una comunicazione commerciale ricca di informazioni. In Premier League, da sempre considerata il benchmark per la riconosciuta capacità di generare risorse, il 50% dei club ha come sponsor di maglia una società di gaming, per un importo di quasi 80 milioni di euro annui, e in tutti gli stadi sui led a bordocampo appaiono pubblicità di aziende di betting. Addirittura in Championship, l’equivalente della Serie B italiana, sono 17 su 24 le squadre con questo tipo di sponsor. In Spagna, nella Liga, 19 squadre su 20 sono sponsorizzate da aziende operanti nel settore betting. Credo sia urgente una riflessione sulla disparità che sta subendo il nostro Paese all’interno dell’Europa».
MF/Agipro
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