Attualità e Politica
09/07/2020 | 17:28
09/07/2020 | 17:28
ROMA - Centocinquanta milioni tra pubblicità e sponsorizzazioni sportive in fumo, duecento milioni di introiti erariali – stimati dal ministero dell’Economia – andati perduti, la certificazione dell’Istituto Superiore di Sanità (secondo cui l’80% dei giocatori non è spinto dalla pubblicità) sul mancato rapporto di causa-effetto tra advertising e propensione al gioco, la sempre maggior difficoltà nel comunicare ai consumatori la differenza tra gioco legale e non legale. Il bilancio del Decreto Dignità, a due anni dall’entrata in vigore, è in rosso, sotto ogni punto di vista: lo hanno sottolineato i partecipanti al webinar organizzato dallo studio Tonucci&partners. Francesco Carione, Direttore generale di Gazzetta dello Sport, ha detto che l’impatto finanziario del divieto è stato «molto deciso» per i mezzi che si occupano di sport, stimabile in almeno 100 milioni di euro. In generale, ha aggiunto «i media più penalizzati sono stati Google e Sky, oltre ai piccoli siti che raccoglievano pubblicità anche nelle scommesse e che hanno perso anche il 50 per cento dei loro ricavi». Come si è arrivati ad una decisione così drastica da parte della politica? Secondo Carione, «qualche errore dell'industria in passato c’è stato e mi riferisco in particolare all’eccessivo affollamento di spot, specialmente sulle Tv a pagamento, che ha fatto sembrare a tratti lo schermo una piccola Las Vegas».
Gli effetti benefici a breve gittata sui conti degli operatori «ci sono stati» ma la presenza «doveva essere calibrata meglio, questo è sicuro. Dal punto di vista editoriale, il settore è stato attaccato anche dai media, nella loro piena e legittima libertà di azione, a cui è mancata spesso la capacità di saper proteggere in qualche modo i ricavi delle aziende editoriali». In futuro, si potrà intervenire e cambiare la norma? Secondo Carione, «potrebbero essere paradossalmente d’aiuto proprio la fase di uscita dall’epidemia e il rilancio dell’economia su cui stanno lavorando le istituzioni: l’eliminazione del divieto porterebbe sviluppo e lavoro, risorse alle imprese editoriali e Tv, oltre che ridurre l’incidenza del gioco illegale».
Secondo l’avvocato Quirino Mancini, partner dello Studio Tonucci, le fondamenta del decreto «avevano poco a che fare con la realtà oggettiva, è stato deciso e approvato senza conoscere la materia. Le istituzioni hanno sparato nella direzione sbagliata, questo è evidente: per usare un termine molto in voga, gli “hotspot” (i focolai, ndr) della ludopatia non sono stati centrati, proprio perché nessuno ha compiuto uno studio approfondito sulle cose da fare e sugli effetti che si sarebbero registrati. Cambiare il decreto? Mi sembra difficile per via politica, mentre vedo più praticabile la strada giudiziaria. Vale a dire l’impugnativa delle sanzioni irrogate dall’Agcom».
Il rischio che il divieto venga adottato da altri paesi, intanto, prende corpo. In Inghilterra si stanno discutendo nuove regole sulla pubblicità probabilmente più severe – anche se con il pieno coinvolgimento dell’industria nazionale e il continuo confronto con Gambling Commission e Advertising Standards Authority. In Spagna le cose potrebbero presto inasprirsi sul fronte delle sponsorizzazioni: il ministro del Consumo, Alberto Garzón, ha proposto di vietare le sponsorhip di maglia delle società di scommesse per le squadre di Liga, un "ban" che potrebbe diventare operativo nella stagione 2020/2021 a condizione che la norma venga approvata dalla Commissione Ue.
NT/Agipro
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