Attualità e Politica
29/03/2021 | 11:42
29/03/2021 | 11:42
ROMA - L'aumento dei canoni mensili per la proroga delle concessioni bingo non ledono la libertà di iniziativa economica delle aziende, contrariamente a quanto sostenuto dal Tar Lazio. È quanto scrive la Corte Costituzionale sul caso sollevato dagli operatori. Il tribunale amministrativo, ricorda la Consulta, collega la presunta violazione del principio «ai ripetuti differimenti del termine per le gare e alla conseguente mancanza di un orizzonte temporale certo, entro il quale effettuare consapevoli scelte imprenditoriali». In questo caso si parla però di «rapporto concessori ormai esauriti», la cui efficacia viene temporaneamente prolungata. Dunque, «non è invocabile una tutela dell’affidamento, connessa alla durata dell’ammortamento degli investimenti e alla remunerazione dei capitali, poiché ciò è propriamente riferibile a rapporti concessori non ancora esauriti». Settori «intensamente regolati» come quello del bingo, ricorda la Corte, vanno inoltre incontro a un rischio normativo particolare: «La pervasiva componente pubblicistica che caratterizza il settore dei giochi pubblici può giustificare l’imposizione di sacrifici o limitazioni, in funzione del perseguimento degli interessi pubblici sottesi alla regolazione di queste attività imprenditoriali». Nonostante questo, il giudizio «non cancella i gravi profili disfunzionali» dovuti «al costante e reiterato» rinvio delle gare. Una prassi portata avanti con interventi che «anziché favorire il passaggio verso la nuova regolazione di questo settore di mercato, si limitano a estendere, di volta in volta, l’ambito temporale della disciplina transitoria della proroga tecnica delle precedenti concessioni». Una situazione che, conclude la Corte, «è fonte di incertezza nelle attività e nelle prospettive degli operatori e rende auspicabile, anche a tutela della concorrenza, l’approdo a un quadro normativo in tutti i suoi aspetti definito e stabile». LL/Agipro
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