Attualità e Politica
26/10/2015 | 12:09
26/10/2015 | 12:09
ROMA - Durante i sei anni della sua gestione, dal 2003 al 2008, la spesa nel settore giochi è cresciuta da 4,1 a 11,4 miliardi (+178 per cento), con un incremento delle entrate erariali da 3,5 a 7,7 miliardi (+120 per cento). Giorgio Tino è stato direttore generale dei Monopoli di Stato dal 2002 al 2008, trasformando un piccolo comparto economico in uno dei modelli di gaming più imitati a livello internazionale e in una miniera d’oro sia per lo Stato che per gli operatori, nazionali ed esteri. Ora, a oltre sette anni dall’addio ai Monopoli e al termine di una vicenda personale lunga e dolorosa, conclusa con la piena assoluzione della Corte dei Conti, Tino - dopo molte insistenze - ha rilasciato ad Agipronews un’intervista esclusiva, nella quale fa il punto su passato, presente e futuro dei giochi pubblici.
Tino, qual è il ricordo più nitido dei sei anni trascorsi alla guida dei Monopoli di Stato?
"Sono orgoglioso dell’esperienza in Aams, dove sono stato chiamato – lo devo confessare - contro la mia volontà. Era un settore che conoscevo poco e sul momento l’incarico mi sembrava penalizzante, tenuto conto che, insieme al Direttore generale del Tesoro Draghi e al Ragioniere generale Monorchio, da un paio di anni facevo parte della struttura manageriale portante del nuovo e imponente Ministero dell’economia e delle finanze come Capo del Dipartimento per le politiche fiscali. Dissi 'no' in prima battuta a Tremonti e al suo braccio destro Fortunato (allora capo di gabinetto Mef, ndr) ma alla fine, mio malgrado, dovetti accettare perché avevo ottenuto precise garanzie di autonomia manageriale e di un rapporto diretto con Ministro e Capo di gabinetto sulle questioni più rilevanti".
L'operazione più rivoluzionaria della sua gestione è senz’altro la creazione della rete di slot machine: cambierebbe qualche scelta fatta a quei tempi?
"La Commissione Finanze del Senato, guidata allora dal Senatore Pedrizzi, aveva segnalato al Governo e al Parlamento la necessità e urgenza di agire al fine di far emergere l’abnorme business dei videopoker. Non risultavano sequestri o denunce di sorta, il sommerso giaceva nella più totale indifferenza dei governi, dei vari organi dello Stato interessati tranne ovviamente degli 'operatori' del gioco, e della Chiesa. Funzionavano quasi 700 mila apparecchi videopoker molto spesso taroccati, ovviamente senza regole tecniche di gioco codificate e controllabili, disseminati sull’intero territorio nazionale, che producevano enormi quantità di denaro a favore in larga misura dei soliti noti e senza assolvere alcuna imposta. Anche allora evidentemente erano presenti fenomeni ludopatici connessi al gioco, ma essi erano sostanzialmente 'in nero' e quindi…. nessuno ne parlava o se ne scandalizzava".
Vi sarete quindi scontrati con le lobby in Parlamento…
"Uno scontro violentissimo, a dire il vero, in quanto le associazioni dei gestori e noleggiatori dei vecchi apparecchi non lesinarono sforzi. Per fortuna un forte appoggio all’operazione venne da larghi settori del Parlamento dell’epoca, dalle componenti più lungimiranti del Governo, dalle società concessionarie di maggiore dimensione e spirito imprenditoriale e sicuramente dal Viminale, anche grazie ai rapporti di amicizia e stima con personaggi di grande competenza ed esperienza come De Gennaro (numero uno di Finmeccanica ed ex capo della Polizia, ndr), prima, e il mai troppo compianto Manganelli, poi". (SEGUE)
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