Attualità e Politica
23/10/2018 | 14:12
23/10/2018 | 14:12
ROMA - In tutta l'area metropolitana di Bologna si stimano «tra le mille e le 1.500 persone che avrebbero bisogno di essere curate per il gioco», con una prevalenza di 1,78 giocatori problematici ogni mille residenti. Lo segnala Raimondo Pavarin, direttore dell'Osservatorio epidemiologico dell'Ausl di Bologna, che oggi ha presentato il rapporto 2017 sulle dipendenze nel capoluogo emiliano. L'anno scorso si sono presentate al Sert 200 persone per problemi dovuti al gioco, in costante aumento rispetto al passato (erano 32 casi nel 2009).
Cresce anche l'età media di chi chiede aiuto (49,6 anni) e la percentuale di non nativi (10%). In calo la quota di femmine e quella di soggetti con scolarità medio alta. Il 65,5% ha un programma di recupero in corso (in media durano sei mesi), il 9% lo ha già completato. In aumento i casi di abbandono: dall'7,7% del 2016 all'8,5% dell'anno scorso. Nel 5% dei casi, le persone arrivate al Sert avevano anche altre dipendenze, per lo più dovute all'abuso di alcol.
«Abbiamo realizzato uno studio, pubblicato sul Journal of clinical medicine su tutte le persone che si sono rivolte a un Sert o in ospedale o a un servizio di salute mentale con problemi legati al gioco e una diagnosi di ludopatia. Abbiamo visto che il 40% sono persone che si erano già rivolte ai servizi, negli anni precedenti, per altri problemi di salute mentale. Quindi probabilmente il target è abbastanza definito. Siamo anche riusciti a stimare l'entità di questo fenomeno sul territorio, per cui ci sono tra le mille e le 1.500 persone che avrebbero bisogno di essere curate per il gioco», spiega il direttore.
Sul gioco però «bisogna affrontare bene il discorso perchè un conto è giocare, un conto è rovinarsi e un conto è sviluppare dipendenza». Nel 2017 sono aumentate le persone che si sono rivolte ai servizi, ma «se ragioniamo sull'incidenza e sui nuovi casi, considerando chi è stato al Sert e in altre strutture, vediamo che c'è stato un aumento fino al 2015 e poi un calo», segnala Pavarin. Allo stesso tempo, «c'è anche una tendenza molto forte a medicalizzare il gioco: un conto è un problema sociale, ad esempio determinato dalla solitudine, e un conto è sviluppare una dipendenza. Se pensiamo che ognuno che gioca e si rovina debba essere trattato solo dal punto di vista medico-sanitario, non facciamo un buon servizio. Il problema sociale va affrontato con altri strumenti», conclude Pavarin.
RED/Agipro
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