Attualità e Politica
26/01/2018 | 17:28
26/01/2018 | 17:28
ROMA - L’azione penale è molto più efficace della causa civile per conseguire l’effettivo recupero del credito vantato dai concessionari nei confronti degli incaricati alla raccolta. E’ quanto sostiene l’Avvocato Andrea Strata in un articolo pubblicato su Lex and gaming dal titolo “Il recupero del credito in sede penale”. I soggetti incaricati dal Concessionario di raccogliere gli importi residui di gioco, ovvero le somme giocate al netto delle vincite erogate ai giocatori, sono giuridicamente qualificati come incaricati di pubblico servizio, poiché la loro attività è direttamente funzionale alla raccolta di pecunia publica, nel rispetto puntuale dei termini della concessione fra l’ADM ed il Concessionario. Le somme non corrisposte al Concessionario dai “terzi incaricati” alla raccolta rappresentano, per il Concessionario stesso, crediti da recuperare tramite le ordinarie azioni civilistiche: “Crediti che molto spesso rappresentano un fardello per i bilanci aziendali – sostiene Strata - anche tenuto conto che il Concessionario deve comunque versare quanto dovuto all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, pena le sanzioni previste dalla convenzione di concessione. Nel contempo, in un’ottica penalistica, il soggetto che si appropria degli importi residui di gioco, senza versare le relative somme al Concessionario, commette “senza alcun dubbio” il reato di peculato come indicato dalla Corte di Cassazione”. La paura che ingenera il reato di peculato, punito con una pena fino a dieci anni e sei mesi di reclusione, “oltre a costituire un validissimo strumento di deterrenza, che dovrebbe per ciò solo indurre le imprese creditrici/danneggiate ad intraprendere tale strategia per costituire con il tempo un “meccanismo virtuoso”, comporta la necessità, per il soggetto attivo del reato, di risarcire (almeno parzialmente) il creditore, con l’obiettivo di evitare che quest’ultimo si costituisca parte civile nel giudizio penale, supportando l’azione accusatoria del Pubblico Ministero”, scrive ancora il legale. D’altro canto, il più delle volte le azioni civili “non portano a nessun risultato concreto per il creditore, tenuto conto che molto spesso le imprese debitrici sono delle mere “scatole vuote”, prive di beni utilmente aggredibili. Senza contare l’onere della prova che la procedura civile impone in capo al creditore (attore) e l’alea del giudizio, elementi che non sono certamente da sottovalutare nel vigente sistema giudiziale”. In sostanza – conclude Strata - mentre nel giudizio civile l’azione del creditore è diretta contro l’impresa, in sede penale l’iniziativa è rivolta “nei confronti dell’imprenditore, da intendersi sia come il soggetto che ricopre formalmente il ruolo di legale rappresentante dell’impresa stessa, sia nei confronti dell’amministratore che di fatto amministra l’azienda (c.d. “testa di legno”); questi ultimi rischiano di essere fisicamente tradotti in carcere e rispondono verso il soggetto danneggiato (id est, creditore dal punto di vista civilistico) con il proprio patrimonio personale”.
RED/Agipro
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