Attualità e Politica
23/03/2020 | 10:43
23/03/2020 | 10:43
ROMA - Arriverà il dopo e il mondo dei giochi, come tutti i settori produttivi del Paese, dovrà trovare il modo di ripartire, di garantire la sopravvivenza delle proprie imprese, di ristabilire con la clientela un rapporto interrotto traumaticamente. Parlare di ritorno alla normalità, tuttavia, può essere fuorviante: specie nei primi tempi, chi opera sul territorio avrà a che fare con una realtà mutata, da interpretare con idee e parametri nuovi. Lo sostiene in maniera convinta Maurizio Ughi, amministratore unico di Obiettivo 2016, abituato a coniugare la sua dimensione dirigenziale con i problemi e le esigenze di chi “alza la serranda” ogni mattina: «Aprire, riapriremo, anche se in questo momento non si sa quando. Ma la domanda che dobbiamo farci è: come? Perché nel primo periodo ci saranno regole nuove da rispettare, ma soprattutto sarà cambiata la percezione del cliente, che sarà molto più restio al contatto ravvicinato. I nostri sono sempre stati locali da assembramento, chi viene da noi lo fa per scommettere, ma anche per parlare, tifare e discutere con gli altri, esultare insieme per la vittoria di una squadra o di un cavallo. Tutte cose che risulteranno meno naturali».
L'anima sociale delle agenzie di scommesse non dovrà estinguersi, ma incanalarsi sui binari del distanziamento, parola destinata a entrare nel lessico comune: «Dobbiamo accelerare alcune procedure automatiche di accettazione e pagamento delle scommesse, già in atto ma ancora incomplete - spiega Ughi – È vero che già oggi si può prenotare la giocata in autonomia attraverso un terminale, poi però per la convalida si va allo sportello, e quindi non viene esclusa l'attività degli addetti al bancone. Oppure ci sono i sistemi self service in cui teoricamente il cliente è autonomo, ma nel 90 per cento dei casi succede che per sapere se ha vinto va comunque allo sportello perché fra tanti eventi non è facile capire l'esito. Bisogna invece lavorare affinché non si parli più di sistemi di prenotazione, ma solo di vendita, e si possa riscuotere con la massima semplicità senza coinvolgere l'addetto di sala. Il quale diventerebbe così per lo più un assistente alla vendita, una figura di controllo che non tocca i soldi, non sta molto a contatto con la clientela e cura che non si creino assembramenti».
La circolazione del denaro, e quindi l'interazione con il bancone, si può limitare anche in un altro modo: «Si dovrebbe introdurre l'uso di un voucher prepagato, sul quale vengono accreditate le eventuali vincite. Un po' come il “voucher parlante” con cui si gioca alle Vlt. In questo modo si va alla cassa solo per il saldo. Il format per applicare il voucher alle scommesse esiste già, i concessionari lo stanno collaudando. Nell'immediato post coronavirus, un sistema del genere può rassicurare il cliente e favorire il rispetto delle regole di salute pubblica».
Una volta che il “nemico” sarà stato sconfitto definitivamente, tutto magari tornerà come prima: «Ma nel frattempo avremo fatto un buon servizio al cliente, adeguando la nostra attività alle sue esigenze. E questo ci porterà benefici a lungo termine».
Intanto però, e chissà fino a quando, l'unica modalità per scommettere è quella online, con il serio rischio che una parte degli scommettitori, prima fedele all'agenzia, si abitui alla rete e non torni più indietro. «Non credo avverrà – la previsione di Ughi – si va in agenzia per stare nel “borgo”, per parlare di calcio o di altro, per discutere e confrontarsi. E questo la rete non lo dà. Sì, esistono i social, ma per me più che altro sono “individual”, ognuno a casa sua. E l'individualità nel gioco non è simpatica. Questo non vuol dire che l'online non prenderà piede: è chiaro che per velocità e immediatezza le scommesse su internet sono molto attraenti, specie per i meno anziani. Ma la vera socialità si trova solo in agenzia».
MF/Agipro
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