Attualità e Politica
26/03/2019 | 15:11
26/03/2019 | 15:11
ROMA - L'importo dovuto dai concessionari del bingo in regime di proroga è stato incrementato senza accertamenti sulla effettiva sostenibilità dei versamenti e senza nessuna certezza sulla nuova gara per l'affidamento delle concessioni. Il Tar Lazio motiva così il rinvio alla Corte Costituzionale dei ricorsi presentati da un gruppo di operatori del bingo contro le disposizioni contenute nella legge di stabilità 2018 sulla proroga delle concessioni. La norma approvata a fine 2017 prevedeva l'aumento da 5.000 a 7.500 euro dei versamenti dovuti dai concessionari ogni mese (e da 2.500 euro a 3.500 euro per ogni frazione di mese inferiore ai quindici giorni). Nello stesso provvedimento veniva fissata la scadenza - il 30 settembre 2018 - entro cui sarebbe dovuta partire la nuova gara. «La nuova previsione ha incrementato del cinquanta per cento – e quindi in misura niente affatto trascurabile – l’importo dovuto dagli operatori in regime di proroga tecnica che intendano partecipare alla gara per la riattribuzione delle concessioni», scrive il Collegio della Seconda sezione. Tutto ciò «senza che risulti essere stata svolta alcuna indagine in ordine all’effettiva sostenibilità di tale onere» e senza alcuna relazione con la cifra minima stabilita per l'attribuzione di ciascuna concessione, pari a 350mila euro. Tale cifra corrisponde invece «in rapporto alla durata novennale prevista per le nuove concessioni, a un onere mensile di euro 3.240,74, e quindi a una somma pari a meno della metà di quella dovuta durante la proroga tecnica».
Tale aumento si affianca «all’ulteriore protrarsi del regime di proroga tecnica, già in corso dal 2013», di fatto «senza una precisa delimitazione temporale». La scadenza del 30 settembre, secondo i giudici, «è valsa anzitutto a “sanare” la circostanza che il regime di proroga tecnica si fosse già prolungato oltre il 2016, precedentemente stabilito, proiettandone ulteriormente in avanti la durata», ma il nuovo termine «è parso sin da subito inattendibile», visto che la ripetuta proroga delle precedenti scadenze «non poteva che indurre gli operatori a dubitare di dover confidare sul rispetto della data da ultimo stabilita». Una previsione «puntualmente confermata»; in una situazione simile, il Tar ritiene che gli operatori non abbiano più la possibilità di svolgere calcoli precisi sulla convenienza economica della proroga tecnica. «Tali soggetti risultano essere stati incisi, perciò, in modo che appare arbitrario e irragionevole da una misura senza avere alcuna possibilità né di influire sulla durata del regime di proroga tecnica, né di avere alcuna certezza in ordine alla cessazione di tale regime, che essi reputano eccessivamente oneroso e persino insostenibile per i gestori delle sale più piccole».
In questo contesto, inoltre «gli operatori non sono messi in grado di valutare possibili alternative economiche, poiché la scelta di cessare l’attività li esporrebbe, di fatto, all’espulsione dal mercato a tempo indeterminato». Oltre ai dubbi di irragionevolezza della misura, «appare violato» anche il principio della libertà di iniziativa economica, «a causa dell’impossibilità per gli operatori di compiere consapevolmente le proprie scelte economiche», conclude il Tar. LL/Agipro
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