Attualità e Politica
08/07/2022 | 17:33
08/07/2022 | 17:33
ROMA - Il caso giudiziario di Sisal e Lotterie Nazionali in Consiglio di Stato riapre la discussione sul decreto Dignità, che nel 2018 ha introdotto il divieto di pubblicità di giochi e scommesse. Le due società escono vincitrici dal contenzioso aperto con l'Agenzia Dogane e Monopoli riguardante SuperEnalotto e Gratta e Vinci, due prodotti per i quali la convenzione di concessione (ovvero il contratto che le società di gaming siglano con Adm dopo la vittoria di una gara) prevedeva il versamento di una quota annua (superiore ai 20 milioni) da investire «per le finalità di comunicazione e informazione», un'attività diventata poi irrealizzabile dopo l'entrata in vigore del decreto Dignità. Le due società avevano quindi contestato all'Agenzia la richiesta del versamento di tali somme dopo il 2018; in primo grado, il Tar Lazio aveva respinto il ricorso, ritenendo che le somme da investire in pubblicità appartenessero già all'amministrazione «e sarebbero state soltanto temporaneamente "trattenute" dal concessionario come una percentuale aggiuntiva della raccolta». Una tesi oggi ribaltata nelle sentenze di Palazzo Spada: tale argomentazione, scrivono i giudici, «contrasta con quanto emerge dal contenuto della convenzione», nella quale «la spesa per l’attività promozionale risulta, in realtà, un vero e proprio investimento del concessionario». In nessuna parte viene specificato infatti che «che per tale investimento avrebbero dovuto essere utilizzate risorse in realtà fornite dall’amministrazione, semplicemente “trattenute in più” e in via provvisoria dal concessionario», e da restituire nuovamente all'erario se non impiegate a causa del divieto di pubblicità. Ne deriva «la fondatezza dell’appello e la declaratoria dell’illegittimità degli atti impugnati con il ricorso di primo grado, nei quali l’Amministrazione si è limitata a chiedere la “restituzione” di tutte le somme originariamente destinate ad attività pubblicitarie, in base «a un preteso mandato ad investire in tale settore, che non ha trovato alcuna conferma dalla disciplina convenzionale e legislativa in materia». Resta però, concludono i giudici «la necessità per le parti di risolvere il problema della spettanza degli importi “risparmiati” a causa del divieto posto dal “Decreto dignità” attraverso le regole proprie della sopravvenuta impossibilità parziale delle obbligazioni e, nell’eventualità, tramite la procedura di riequilibrio economico finanziario delle concessioni».
LL/Agipro
Foto Credits George Hodan CC0 1.0
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