Attualità e Politica
22/06/2017 | 10:17
22/06/2017 | 10:17
ROMA - La normativa ungherese sull’autorizzazione dei giochi online non è compatibile con il principio della libera prestazione dei servizi. E' quanto ha stabilito la Corte di giustizia Ue, sulla causa portata avanti da Unibet International in Ungheria. Secondo i giudici la normativa ungherese "limitava, in un primo tempo, in modo discriminatorio e, in un secondo tempo, per il suo carattere non trasparente, la possibilità per gli operatori con sede in altri Stati membri di organizzare giochi di questo tipo in Ungheria".
Nel 2014, le autorità ungheresi hanno contestato a Unibet la fornitura di gioco online nonostante non fosse in possesso dell’autorizzazione necessaria in Ungheria per l’esercizio di tale attività. E' stato, così, disposto il blocco temporaneo dell’accesso dall’Ungheria ai siti internet di Unibet ed è stata inflitta un’ammenda alla società. Unibet ha presentato un ricorso al Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest per l’annullamento di entrambe le decisioni, facendo valere che la normativa ungherese sulla cui base erano state adottate era in contrasto con il principio della libera prestazione dei servizi. Secondo Unibet, se è vero che, nei periodi in discussione, gli operatori con sede in altri Stati membri avrebbero potuto, in linea teorica, ottenere in Ungheria la concessione di un’autorizzazione all’organizzazione di giochi online (non essendo la fornitura di tali servizi riservata a un monopolio statale), gli stessi si trovavano in pratica nell’impossibilità di procurarsi tale autorizzazione. La società, inoltre, ha sottolineato che l’Ungheria non aveva indetto, nel corso di tali periodi, alcuna pubblica gara ai fini della conclusione di contratti di concessione che permettessero di ottenere l’autorizzazione necessaria. Allo stesso tempo, Unibet ha osservato che l’Ungheria l’ha in pratica esclusa dalla possibilità, prevista dal diritto ungherese, di stipulare tali contratti nella qualità di operatore di giochi d’azzardo «di comprovata affidabilità». In tale contesto, il giudice ungherese ha chiesto alla Corte di giustizia se la normativa ungherese in discussione sia compatibile con il principio della libera prestazione dei servizi.
Con la sentenza di oggi la Corte dichiara innanzitutto che la normativa nazionale in questione, che vieta l’organizzazione di giochi d’azzardo in assenza di una previa autorizzazione rilasciata dalle autorità amministrative, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi, e afferma che, secondo la normativa nazionale sulla cui base è stata adottata la decisione del 2014, gli operatori di giochi d’azzardo «di comprovata affidabilità» dovevano aver esercitato, per un periodo di almeno dieci anni, un’attività di organizzazione di giochi d’azzardo in Ungheria. La Corte considera che un siffatto requisito costituisce una disparità di trattamento, in quanto sfavorisce gli operatori di giochi d’azzardo aventi sede in altri Stati membri rispetto agli operatori nazionali, i quali possono più agevolmente soddisfare tale condizione. Per questo motivo, la Corte dichiara che la normativa in discussione è discriminatoria e, pertanto, contraria al principio della libera prestazione dei servizi.
Per quanto riguarda la normativa nazionale alla base della decisione del 2014, la Corte afferma che l’obbligo, per le imprese che chiedano di ottenere lo status di operatore di giochi d’azzardo «di comprovata affidabilità», di aver esercitato per tre anni in uno Stato membro un’attività di organizzazione di giochi d’azzardo non genera vantaggi a favore degli operatori con sede nello Stato membro ospitante e potrebbe quindi, in via di principio, essere giustificata da un obiettivo di interesse generale, come la tutela dei consumatori o dell’ordine pubblico. Tuttavia, tale normativa non soddisfa l’obbligo di trasparenza in quanto né le condizioni previste dalla legge per l’esercizio dei poteri delle autorità nazionali nell’ambito delle procedure di attribuzione di concessioni agli operatori di giochi d’azzardo «di comprovata affidabilità» né le condizioni tecniche che devono essere soddisfatte da questi operatori nella presentazione della loro offerta risultavano definite con sufficiente precisione. Secondo la Corte, dunque, il principio della libera prestazione dei servizi osta anche a tale normativa, e non è possibile infliggere alcuna sanzione sulla base di norme dichiarate contrarie al suddetto principio.
RED/Agipro
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