Attualità e Politica
13/06/2017 | 10:19
13/06/2017 | 10:19
ROMA - Il principio di libera prestazione dei servizi garantito dal diritto dell’Unione non si applica tra Gibilterra e il Regno Unito, che sono da considerare un solo Stato: gli operatori online stabiliti nel piccolo territorio a Sud della Spagna – rappresentati in giudizio dalla Gibraltar Betting and Gaming Association (Gbga) – non possono quindi far valere le regole dell’Unione nella gestione (soprattutto fiscale) dei clienti residenti nel Regno Unito. Una vera e propria “mazzata” per le tante società di gioco online che hanno scelto di trasferirsi dopo la riforma fiscale del 2014 nel Regno Unito. In quell’anno era stato infatti adottato un nuovo regime per le imposte sul gioco d’azzardo, basato sul principio del “luogo del consumo”, che impone ai fornitori di gioco di versare un’imposta per i servizi di gambling online forniti ai giocatori stabiliti nel Regno Unito. Il precedente regime fiscale, basato sul principio del “luogo della prestazione”, prevedeva invece che solo i prestatori di servizi stabiliti nel Regno Unito dovessero pagare le imposte sui profitti lordi realizzati con i servizi di gioco prestati ai clienti in tutto il mondo. La GBGA ha impugnato detto nuovo regime fiscale dinanzi alla High Court of Justice, England & Wales (Alta Corte di Giustizia, Inghilterra e Galles, Regno Unito) facendo valere che il nuovo sistema è contrario al principio di libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
L’amministrazione tributaria britannica, in qualità di convenuta, sostiene che la GBGA non possa far valere diritti derivanti dall’ordinamento dell’Unione, poiché la prestazione di servizi da parte di operatori stabiliti a Gibilterra verso soggetti stabiliti nel Regno Unito non ricade nel diritto dell’Unione. In ogni caso, il nuovo regime fiscale, in quanto misura fiscale applicabile indistintamente, non potrebbe essere considerato una restrizione alla libera prestazione dei servizi. La Corte Ue ha alla fine deciso che “le prestazioni di servizi fornite dagli operatori stabiliti a Gibilterra a favore di soggetti stabiliti nel Regno Unito costituiscono, dal punto di vista del diritto dell’Unione, una situazione i cui elementi si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro”. Secondo la Corte, non sussistono elementi che permettano di considerare le relazioni tra Gibilterra e il Regno Unito, ai fini dell'articolo 56 del Trattato, analoghe a quelle che esistono tra due Stati membri. Concludere in senso opposto equivarrebbe a negare il legame riconosciuto in diritto dell’Unione tra Gibilterra e Regno Unito. Infatti, il Regno Unito ha assunto gli obblighi discendenti dai trattati nei confronti degli altri Stati membri per quanto concerne l'applicazione e il recepimento del diritto dell'Unione nel territorio di Gibilterra. Infine, la Corte conferma che la conclusione a cui è pervenuta non pregiudica né l’obiettivo di assicurare il funzionamento del mercato interno, né lo status di Gibilterra nel diritto costituzionale nazionale e nel diritto internazionale. Essa sottolinea, in ogni caso, che la sua conclusione non può essere interpretata nel senso che pregiudichi lo status separato e distinto di Gibilterra.
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