Attualità e Politica
17/02/2021 | 12:19
17/02/2021 | 12:19
ROMA - Anche i gestori di apparecchi da gioco, come i concessionari, esercitano «attività proprie del pubblico servizio» e dunque nel caso non versino il Preu commettono il reato di peculato. Così la Corte di Cassazione nelle motivazioni della sentenza che ha definitivamente chiarito il nodo legato al settore slot. I giudici delle Sezioni Unite erano stati chiamati a dirimere il contrasto tra diverse interpretazioni della Corte, dopo una decisione che riteneva, a differenza di precedenti pronunce, non configurabile il peculato per il gestore che si appropria del Preu. Una visione secondo cui il prelievo erariale è quindi un mero ricavo di impresa e non un tributo.
Le Sezioni Unite hanno invece accolto le tesi del concessionario parte lesa, rigettando il ricorso di un gestore. Tale figura, a differenza del concessionario, «non riveste in proprio il ruolo di agente contabile», tuttavia la convenzione di concessione impone loro di esercitare, per conto dei concessionari, «anche attività proprie del pubblico servizio». In particolare, anche in mancanza di un rapporto diretto e un obbligo di rendiconto nei confronti dell'Agenzia Dogane e Monopoli, il gestore «svolge la sua attività in autonomia, senza il controllo diretto del concessionario» e gli è affidata «la verifica della funzionalità della rete telematica con obblighi di segnalazione di anomalie, risultando già solo per questo avere un ruolo determinante nel profilo che qualifica l'attività data in concessione quale pubblico servizio».
I gestori sono inoltre tenuti a «penetranti obblighi di controllo, offerta di garanzie, tracciabilità», tutti «fondamentali per la verifica dei corretti flussi finanziari per la prevenzione dell'inserimento di fenomeni criminali, anche di riciclaggio» e per realizzare gli interessi pubblici alla base della gestione statale del gioco. In definitiva, l'appropriazione degli incassi degli apparecchi,
«in quanto denaro "altrui"» del quale il gestore «ha il possesso per ragione del suo ufficio di incaricato di pubblico servizio, è correttamente qualificata come peculato».
LL/Agipro
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