Attualità e Politica
28/05/2018 | 16:38
28/05/2018 | 16:38
ROMA - Sono lo sport e il business del futuro. Grazie a numeri decisamente pesanti calamitano sempre più l’attenzione di istituzioni, sponsor e grandi media. Gli eSports, i tornei competitivi di videogames, chiuderanno il 2018 con un giro d’affari da 738 milioni di euro, dice l’ultimo report di Newzoo, mentre l’audience complessiva di questo fenomeno salirà a 380 milioni di spettatori. I campioni di eSports riescono a mettere le mani su montepremi a cinque e sei cifre e in molti casi (ad esempio avviene nella lega virtuale dell’NBA) firmano contratti da professionisti, con tanto di stipendio per le loro prestazioni. E dunque, in questo contesto, è anche logico che qualcuno pensi a formare i nuovi talenti. A Lione, da pochi mesi, è nata la prima università che prepara chi vuole fare degli eSports una professione. Si chiama Gaming Campus e offre due corsi di laurea differenti: il primo dedicato agli aspiranti “pro”, il secondo a chi voglia intraprendere una carriera manageriale, e quindi scoprire, lanciare e gestire nuovi talenti del joypad o semplicemente fare l’imprenditore di se stesso. Agipronews ha intervistato Thierry Debarnot, co-fondatore di questo ambizioso progetto, per capire come un adeguato bagaglio culturale possa preparare le nuove generazioni ad affrontare il mondo degli eSports con un’ottica meno ludica e più professionale.
Quando è partito il progetto e come avete avuto l’idea?
«Abbiamo annunciato il Gaming Campus nello scorso marzo, ma la scuola aprirà a ottobre. Io e Valérie Dmitrovic, l’altra fondatrice, abbiamo pensato a questo progetto alla luce di due numeri sorprendenti. Il primo è quello dell’industria dei videogames, che nel 2018 avrà un turn over da 92 miliardi di euro, superando cinema e musica. È la fetta più grande del mercato dell’intrattenimento. Il secondo numero che ci ha impressionato, invece, è uno zero! In Europa non c’era nessun corso specifico dedicato esclusivamente all’industria dei videogame, che si trattasse di eSports o di videogiochi più in generale».
Dunque, com’è strutturata la vostra offerta didattica, è simile a quella di un campus statunitense?
«Il nostro campus prevede un’offerta formativa in sede, ma per il momento non ospitiamo gli studenti nella nostra struttura, come avviene nei college. Il primo corso si chiama Gaming Business School: forma gli studenti che vogliono lavorare nell’industria dei videogames e prevede una laurea breve dopo tre anni e una specialistica dopo cinque. Il secondo è la Gaming Academy, un percorso formativo dedicato specificamente agli eSports che combina una parte dedicata alle performance sul campo e una educativa. Una miscela con cui puntiamo a formare i futuri professionisti. Alla fine di ogni corso si ottiene una certificazione: quella di atleta eSportivo nel primo caso e quella di “imprenditore influencer” nel secondo. In più quest’estate partiremo con la formazione a distanza: pagando una quota d’iscrizione potranno allenarsi online seguite da alcune star dei videogames».
Quanti studenti sono iscritti ai vostri corsi e come si viene scelti?
«Per il primo anno abbiamo limitato l’accesso a 70 posti totali. Tra le tante richieste che sono arrivate abbiamo selezionato quelli che che avevano le competenze migliori grazie all’aiuto di esperti professionisti».
Facciamo il punto sulla parte formativa dedicata agli eSports. Come preparate gli studenti, sia dal punto di vista teorico che da quello pratico?
«L’approccio teorico - sostiene Debarnot - offre un quadro dell’industria dei videogame dal punto di vista imprenditoriale. In pratica vengono date delle nozioni di business del gaming attingendo a varie materie: economia, marketing, teorie digitali, management, inglese, comunicazione verbale e non, studi sulle community social.
Poi c’è la parte più specifica che riguarda gli eSports, in cui la pratica è predominante. Ci sono alcuni moduli formativi dedicati all’aspetto fisico dello sport, con allenamenti individuali e di gruppo e insegnamenti su stile di vita e nutrizione. Stiamo ultimando i lavori per un vero e proprio training center, come quello che ogni grande squadra sportiva ha nella sua sede. Ogni studente avrà il suo programma di allenamento personalizzato. Poi c’è anche una parte dedicata alle competizioni in senso stretto, con simulazioni di tornei sia come giocatore sia come leader o manager di un team o come capo di un progetto nel mondo del gaming».
Chi sono i vostri insegnanti?
«Sono tutti professionisti del settore: giornalisti sportivi, manager delle grandi case produttrici di videogames, coach, direttori di e-commerce, business developer. Per la parte prettamente di gioco, invece, abbiamo siglato una partnership con il Vitality Team, la squadra professionale di eSports numero uno in Francia. Fabien Devide, il loro Presidente, è uno dei nostri più grandi sostenitori».
Passiamo al “post”. Cosa farà un atleta che avrà la vostra certificazione in tasca? Lo aiuterete a trovare uno sbocco idoneo alle sue aspirazioni e competenze?
«Faremo di tutto perché i nostri studenti riescano a trovare lavoro appena finito il corso. È anche per questo che abbiamo stretto un accordo con Vitality e con altre 50 compagnie che si occupano di vidoegames a tutti i livelli. Ma la nostra offerta fornisce agli studenti anche i mezzi per sfruttare autonomamente il loro talento. È proprio a questo che puntiamo con la certificazione di “imprenditore influencer”. Grazie a questo corso gli studenti impareranno a monetizzare le loro capacità attraverso la costruzione di una community intorno al loro personaggio».
Si dice che gli eSports potrebbero essere ai Giochi di Parigi 2024 come disciplina dimostrativa e poi avere un futuro olimpico. Credete che la prima medaglia degli eSports possa passare dalla vostra Università?
«Entrambe le cose sarebbero fantastiche - esclama Debarnot - forse è ancora presto per parlare degli eSports come disciplina olimpica vera e propria, ma nel medio termine penso sia possibile. I tornei professionali di videogames sono già considerati dei veri e propri sport se pensiamo all’audience che riescono a catalizzare. Siamo fiduciosi: la crescente notorietà dei campioni e delle competizioni ci fa pensare che tra le generazioni future gli eSports saranno ancora più popolari». AG/Agipro
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